L’etimologia dei nomi e il loro significato simbolico nel Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald
Traduction de Annamaria Martinolli
Il presente saggio è una versione abbreviata dello studio pubblicato sulla rivista Acta Neophilologica, Volume 36, N° 1-2 (2003), Ljubljana University Press, Faculty of Arts, pp. 41-44. L’autrice è Vanja Avsenak. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Questo straordinario e sempre intenso romanzo, composto dal più importante autore dell’età del jazz, non ha mai smesso del tutto di suscitare l’interesse di critici, storici della letteratura e lettori accaniti di tutto il mondo che hanno cercato di spingersi oltre la storia narrata per scoprire molteplici e interessanti interpretazioni del capolavoro di Francis Scott Fitzgerald.
La costrizione che forse ogni lettore percepisce quando si immerge nel testo non è tanto legata alla sua ampia struttura, come accade ad esempio nella Valle dell’Eden di John Steinbeck, ma al suo esatto contrario. Quello che Fitzgerald si sforza di ottenere, riuscendoci perfettamente, è la storia realistica e banale di un uomo ricco e di successo del sogno americano il cui errore marchiano è l’insaziabile desiderio di entrare a far parte di una classe sociale molto più alta di quella in cui è nato solo per conquistare una Belle dame sans Merci che alla fine distrugge le sue aspirazioni. Il destino di Gatsby è traumatico quasi quanto quello vissuto da altre persone di basso ceto sociale nel tumultuoso decennio in cui la superficialità del fascino e della raffinatezza la faceva da padrone. Fitzgerald prende nella sua totalità l’inerzia sperimentata da quelli come Gatsby per descrivere in modo onnicomprensivo la distruzione sociale del paese, la dissolutezza culturale e l’estraniazione individuale come conseguenza dell’isterismo nazionale percepito dai più. Gatsby potrebbe essere solo una delle tante vittime causate dall’euforia dell’età del jazz, tuttavia la sua personalità così contraddittoria simboleggia l’individuo medio risultato della disillusa società dei ruggenti anni Venti.
A mano a mano che procederò nell’analisi, il contributo di ogni personaggio alla formazione della psiche nazionale dell’epoca sarà oggetto di parziale interpretazione, a cominciare dal protagonista.
Jay Gatsby
Jay Gatsby, il personaggio principale, è una delle figure più contraddittorie del romanzo. Da un lato, egli è un uomo benevolo, dal cuore d’oro, il cui difetto principale è solo aver vissuto troppo a lungo con un unico sogno destinato a non diventare mai realtà e che lo rende cieco di fronte all’evidente verità dell’avida società in cui vive, dove le persone sono giudicate in base alla ricchezza e non in base alle proprie qualità. Dall’altro, è un personaggio egocentrico che sopravvaluta le sue capacità, ha un’opinione troppo alta di se stesso e si dimostra troppo indulgente nel giudicare gli altri.
Lehan (1969:121) paragona la figura di Gatsby a quella di un Dio “scaturito dalla sua platonica concezione di sé”, ma il cui tentativo di creare “[questa] immagine divina di se stesso” si rivela vano. Proprio come lo sguardo fisso di T.J. Eckleburg sulla vasta vacuità, la “solenne discarica di speranze consumate [e sogni infranti]” di Gatsby finisce per rivelarsi inutile. Il suo tentativo di restare fedele alla personale convinzione che le persone possiedano una bontà innata alla fine lo fa sembrare ingenuo, ma allo stesso tempo gli permette di elevarsi alle proporzioni di “eroe mistico” (Bewley 1963:138) poiché è una qualità improbabile da trovare negli altri personaggi.
Il nome di battesimo di Gatsby è citato in poche occasioni nel corso del romanzo, il che, per ovvi motivi, innesca istintivamente una serie di domande. Esso, infatti, è identico al cognome del primo presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti John Jay (in carica dal 1789 al 1795), e questo giustifica quanto da me sostenuto in precedenza: è la sincerità di Gatsby verso se stesso e gli altri a renderlo grande.
Una possibile dicotomia riscontrabile quando si analizzano il nome di Gatsby e la sua personalità consiste nel fatto che jay, oltre a corrispondere a un nome o cognome, è un termine comune che designa una persona stolta o loquace (Webster 1997). Gatsby è stolto di sicuro – stolto nel suo amore impossibile che non si realizzerà mai, stolto nel suo modo di giudicare, stolto sotto molti aspetti – ma è anche estremamente simpatico. In compenso, non è affatto loquace. Quel suo continuo reiterare l’espressione “vecchio mio” rispecchia un’autentica mancanza di parole, il suo non essere portato per la retorica, cosa che invece non accade all’antagonista Tom Buchanan che sembra non essere mai a corto di vocaboli. Spesso determinate situazioni lo lasciano ammutolito, e questo succede anche durante gli incontri galanti con la golden girl dei suoi sogni, che dovrebbero fargli spiccare il volo anziché farlo sentire indifeso. Tuttavia, come già specificato, il suo nome proprio viene utilizzato di rado. Solo Daisy, in un paio di occasioni, lo chiama Jay – è noto come Gatsby, le persone vanno ai party di Gatsby e spettegolano su di lui nella casa di Gatsby – .
Secondo Tamke (1968-69: 443-445) negli anni Venti “gat” era un termine slang usato per indicare un revolver, una pistola; il che allude al fatto che Gatsby era un uomo con legami mafiosi residente nella casa della fortuna accumulata e nel distretto dell’opulenza estrema. Questo è proprio quello che suggerisce il termine “gat”, passato remoto arcaico del verbo “to get” (Webster 1997). Gatsby ha accantonato un’ingente quantità di denaro grazie a contatti illeciti che gli hanno permesso di diventare ricco quasi immediatamente, ma ha agito con consapevolezza, scegliendo di diventare un contrabbandiere di alcolici e seguendo la legge da lui dettata. Questa sua strategia è celata nel suffisso scandinavo -by che indica una città o un luogo; il che implica che il quartiere in cui vive gli appartiene in quanto egli è il promotore di questa legge. Inoltre, Kruse (1969-70:539-541) spiega che nei primi anni Venti Gadsby, scritto con la “d” anziché la “t”, era il nome di uno splendido VIP hotel, e questo consente di associare in via definitiva la reggia di Gatsby all’idea di un “hotel per persone senza radici”. Lo stesso discorso vale per il suo status di uomo ricco che può essere definito senza radici in quanto per ottenere la sua ricchezza è prima costretto a rinnegare le radici paterne. All’opposto, Tom e Daisy sono due senza radici a causa della loro incapacità di stabilirsi a lungo in un determinato luogo.
Nick Carraway
Il protagonista Jay Gatsby ha due controparti: Nick Carraway e Tom Buchanan, che incarnano due aspetti della medesima realtà anche se da due diversi punti di vista. Se Tom rappresenta la sordida realtà delle alte classi sociali sradicate, Nick personifica il risveglio e la ragione – è un punto fermo di integrità e rettitudine morale –. Nel suo essere io narrante e amico intimo di quasi tutti gli altri, Nick riveste il ruolo di amato cugino di Daisy, ex compagno di università di Tom e vicino preferito di Gatsby. Dopo la morte di quest’ultimo, è l’unico ad assumersi una serie di responsabilità nei suoi confronti. Lo dimostra il fatto che si occupa con devozione di tutti i preparativi per il funerale e che tenta fino alla fine di radunare alcuni dei presunti amici di Gatsby per l’occasione. Il loro stretto rapporto ha come conseguenza finale la decisione di Nick di raccontare innanzitutto la storia di Gatsby. La sua personalità premurosa si riflette in modo evidente anche nel nome e cognome che porta. Proprio come San Nicola, patrono dei giovani e dei marinai (Webster 1997) – Gatsby era stato un avventuroso marinaio –, continua a vegliare sul protagonista.
Egli si rivela un affettuoso custode e probabilmente è il solo personaggio a subire una vera evoluzione nel corso della storia. In un primo momento giudica Gatsby in base al suo irragionevole tentativo di riportare in vita dal passato il suo sogno illusorio, ma in seguito finisce per ammirare il suo idealismo poiché fare rotta verso il futuro significa anche ritrarsi nel passato. Alla fine, Nick capisce che “navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato”.
La grafia di Carraway rivela la seguente incoerenza: essa potrebbe suggerire che Nick, nella vita, ha scelto di essere molto premuroso e di percorrere dunque quella via (care + way) piuttosto che non dimostrare alcuna premura, come lascia intuire la particella away. Tuttavia, questo ricopre un ruolo essenziale nella seconda possibile interpretazione che vede Nick e gli altri personaggi continuamente circondati da automobili che alla fine si rivelano veicoli mortali che uccidono le persone (car + away). La personalità sensibile di Nick non sarebbe mai in grado di sopportare una spaventosa minaccia come quella incarnata dall’immagine delle automobili nell’algido e disumano Est. Verso la fine del romanzo, Nick ammette:
Mi accorgo ora che questa è una storia dell’Ovest, dopo tutto: Tom e Gatsby, Daisy e Jordan e io venivamo tutti da Ovest, e forse avevamo qualche deficienza in comune che ci ha resi impercettibilmente inadatti alla vita a Est.
Coerentemente con questo ragionamento, il ritorno di Nick a Ovest è innescato dal fatto che non gli importa più nulla dell’Est, e nemmeno all’inizio gliene importava poi tanto. Loro venivano tutti da Ovest, come egli stesso afferma, però lui è diverso dagli altri:
Erano sventati, Tom e Daisy – rompevano cose e creature e poi si ritraevano nei loro soldi o nella loro vasta sventatezza, o qualunque cosa fosse a tenerli insieme, e pretendevano che fossero gli altri a ripulire lo sporco che avevano lasciato in giro…
Tom Buchanan
Tom Buchanan è l’esatto opposto di Gatsby. La sua estrema crudeltà nei confronti degli esseri umani lo accomuna a Daisy e lo rende diverso da Nick, per non parlare di Gatsby. Se Gatsby possiede grande sensibilità e umanità, Tom è tutto istinto e volgarità: manipola Gatsby con le sue capacità oratorie e le sfrutta con cattiveria per idealizzare le illusioni del protagonista. Il suo modo di esprimersi rispecchia perfettamente l’istruzione che ha ricevuto a Yale, ma è spesso scorretto quando conversa su argomenti che fraintende; a volte, finisce per eccellere solo nel suo ruolo di bullo succhiasangue, cosa che sembra suggerire anche il suffisso bu- del cognome Buchanan.
Le sue capacità finiscono sprecate sotto il peso della sua ricchezza, e questo distinguerà anche le generazioni a venire della sua stirpe. Il cognome che porta è identico a quello del quindicesimo presidente degli Stati Uniti, James Buchanan, diffamato per aver condotto gli americani alla guerra civile. Buchanan era per lo più contrario alla schiavitù in quanto tale, ma era anche convinto che a ogni Stato spettasse la libertà di decidere autonomamente se mantenerla o meno poiché solo una simile libertà di scelta avrebbe risolto pacificamente la questione. Il caloroso appoggio ottenuto dagli Stati del Sud gli fece in compenso guadagnare l’ostilità di quelli del Nord (Klein 2002). L’odio razziale ed etnico di Tom è comunque in netto contrasto con le idee pro-schiavitù del presidente Buchanan; quest’ultimo, infatti, parlava a favore della schiavitù solo per incentivare una pacifica secessione del Sud, mentre la dichiarata superiorità di Tom si fonda sull’esatto opposto. A differenza del presidente degli Stati Uniti, convinto che se gli Stati del Sud avessero formato l’Unione i loro diritti sarebbero stati protetti dalla Costituzione, Tom Buchanan crede nella bianca razza nordica ed è persuaso che “l’emergere di una politica nativista” determinerebbe la caduta dei “self-made men” come Gatsby (Decker 1994:52-72).
L’astio di Tom verso le razze di colore rappresenta il pregiudizio e l’ostilità che nutre all’idea che l’America venga sommersa dall’afflusso di persone da altre nazioni. Se James Buchanan è considerato un padre benevolo del Sud, Tom Buchanan è indubbiamente un difensore della supremazia nordica e un nemico vendicativo delle minoranze razziali. Tutto sommato, si può affermare che egli incarna un’immagine distorta della sua controparte politica. Il presidente Buchanan è il modello su cui Francis Scott Fitzgerald si è approssimativamente basato per dare vita alla figura di Tom Buchanan rovesciando, però, di proposito, l’idea che spinse innanzitutto l’opinione pubblica a diffamare il primo. L’errore in buona fede da lui commesso all’epoca per la sua inclinazione filo-schiavista, che gli fu rimproverata dal Nord, contrasta nettamente con il disprezzo di Tom Buchanan per le razze di colore. In questo modo, l’autore rafforza il personaggio di Tom Buchanan e riduce l’importanza di quello di Gatsby.
Daisy Fay Buchanan
Daisy, moglie di Tom, non è migliore di lui. L’egotismo e la corruzione sono due caratteristiche che calzano a entrambi. Il suo nome trova corrispondenza nel fiore omologo, pratolina, formato da un cuore giallo e da petali bianchi; infatti, Daisy veste sempre di bianco, benché la sua anima sia vuota, boriosa, ipocrita, complottista, carica di ragioni recondite e ispiratrice di massimi inganni. Giallo, oro e argento, colori che simboleggiano denaro e possesso, sono presenti anche nella voce “indiscreta” e “piena di soldi” di Daisy. Timbri di questo tipo si sentono anche ai party di Gatsby durante i quali “l’orchestra suona una musica gialla da cocktail”. Alla pari di Daisy, che trae in inganno le persone con quella sua voce falsa che ispira speranza e dedizione, Gatsby accumula un patrimonio grazie a sporco denaro giallo. Il giallo è anche il colore del sole che Daisy sprigiona su Gatsby. In questo romanzo, il sole sembra essere la forza luminosa prevalente. È come se Daisy emanasse luce solare e Gatsby cercasse di immergersi completamente in essa.
Questa correlazione è motivata dal fatto che il sole sorge a est e tramonta a ovest, il che avrebbe messo Gatsby in ombra visto che per anni Daisy non ha frequentato i suoi party. I fulgidi corridoi di Gatsby brillavano di luce artificiale non abbastanza luminosa per attirare la giovane. Tuttavia, la luce emanata da quest’ultima è puramente esteriore, determinata solo dai soldi e dalla ricchezza, mentre quella interiore di Gatsby è reale, e quindi spiritualmente incompatibile con il falso luccichio dorato che si diffonde da Daisy. La caduta di Gatsby presenta al lettore una realtà rovesciata, la posizione del sole nell’autunno dopo la sua morte, la fine dell’estate e anche della vitalità di Gatsby; questa fine, accompagnata dalla caduta delle foglie, porta con sé il progressivo decadimento e disfacimento sociale.
La seconda parte del nome Daisy, –sy, indica che il suo sguardo è sfocato. Il suo cognome, Fay, suggerisce invece la sua bellezza, i suo capelli biondi (fair-haired) e il suo aspetto da fata, anche se fedele, secondo possibile significato di fay, non lo è per niente (Webster 1997). Le sue promesse di lasciare il marito per restare con Gatsby sono vuote, e non ci si può mai fidare delle sue parole. Anche se avesse giurato “in fede sua” (by her fay), questo non avrebbe significato nulla.
Informazioni aggiuntive
I passaggi italiani del romanzo Il grande Gatsby sono tratti da: Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2011, traduzione di Franca Cavagnoli.
Opere consultate: Bewley, M. “Scott Fitzgerald’s Criticism of America.” In: Arthur Mizener (ed.), F. Scott Fitzgerald. Twentieth Century Views Series. Englewood NJ: Prentice-Hall, 1963: 138.
Decker, J. L. “Gatsby’s Pristine Dream: The Diminishment of the Self-made Man in the Tribal Twenties.” Novel: A Forum on Fiction 28 [CD-ROM] (1994): 52-72.
Fitzgerald, F. S. The Great Gatsby. London: Penguin Books, 1994.
Hampton, V. R. “Owl Eyes in The Great Gatsby”. American Literature 48 (1976): 229.
Klein, P. S. “Buchanan, James.” Discovery Channel School, original content provided by World Book Online, 16th July 2002.
Kruse, H. H. ” ‘Oats by’ and ‘Gads by’.” Modern Fiction Studies 15 (1969-70): 539-541.
Lehan, R.D. F. Scott Fitzgerald: The Man and His Works. Toronto: Forum House Publishing Company, 1969.
Tamke, A. R. “The ‘Gat’ in Gatsby: Neglected Aspect of a Novel.” Modern Fiction Studies 14 [CDROM] (1968-69): 443-445.
Webster’s New World Dictionary and Thesaurus. Accent Software International. Electronic Version 1.0. Macmillan Publishers, 1997.