Rapacità di Von Stroheim: la travagliata storia di un capolavoro del cinema muto
Traduction de Annamaria Martinolli
Il presente articolo è stato pubblicato sul quotidiano americano Reading Eagle il 15 ottobre 1983. L’autore è Tony Lucia. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli ed è stata realizzata dietro autorizzazione della Reading Eagle Company.
Il regista austriaco Erich Von Stroheim è da molti definito “l’uomo che si ama odiare”. Tuttavia il suo Rapacità (1924), uno dei film muti più celebri, costituisce il primo esempio di scuola di cinema naturalista (o realista).
Rapacità, la cui durata originale era di circa nove ore – corrispondenti a quarantadue bobine – , fu tagliato fino a coprire una durata complessiva di poco superiore alle due, con la conseguenza che il metraggio mancante si è trasformato nel “Santo Graal” della cinematografia. Poiché sono solo una dozzina le persone che hanno avuto la possibilità di assistere alla versione integrale di Rapacità, viene da chiedersi se le bobine rimaste sul pavimento della sala montaggio avrebbero reso il film migliore di quanto lo conosciamo noi oggi.
Erich Von Stroheim nacque a Vienna nel 1885 e migrò in America nel 1909 per sfuggire ai debiti contratti nel corso della sua carriera nell’esercito austriaco a cui si erano aggiunte le complicazioni delle forti pressioni familiari. Da sempre affascinato dall’ambiente teatrale, ben presto si appassionò anche all’arte, ancora in boccio, della cinematografia.
Fu abbastanza fortunato da muovere i primi passi nei capolavori di David Wark Griffith: il piccolo ruolo interpretato in Nascita di una nazione (1915) gli permise di ricoprire ruoli di maggior spicco in Intolerance (1916) e in Cuori del mondo (1918). Quest’ultimo film, e i ruoli da ufficiale prussiano ricoperti in altre pellicole risalenti alla Prima guerra mondiale gli valsero il soprannome di “uomo che si ama odiare”.
Nel 1918 ottenne un successo enorme con il suo primo film da regista, Mariti ciechi, e ben presto tutta Hollywood lo prese a modello come esempio di distinzione europea. Fu il primo di un illustre gruppo del quale, in seguito, sarebbero entrati a far parte Ernst Lubitsch, Friedrich Wilhelm Murnau, Victor David Sjöström e altri. Il successo di Erich Von Stroheim proseguì con Il grimaldello del diavolo (1920), Femmine folli (1922) e Donne viennesi (1923), tutti realizzati per gli Universal Studios.
Dopo essere stato licenziato dal produttore Irving Thalberg per l’eccessivo sperpero di denaro, egli venne assunto dalla Goldwyn Company che gli diede carta bianca. E fu in questo contesto che il regista decise di realizzare il progetto dei suoi sogni: trarre un film dal romanzo naturalista McTeague di Frank Norris.
McTeague è il ritratto, ambientato a San Francisco, della società americana al volgere del secolo e incentrato sulla vita del dentista McTeague e di sua moglie Trina. Trina vince cinquemila dollari alla lotteria e questo finisce per far emergere l’avidità dei personaggi fino a condurli al loro tragico destino.
Anche se McTeague occupa un posto di tutto rispetto nella letteratura americana, è di una crudezza indiscutibile, e il film Rapacità ne ha ancora smorzato i toni eliminando il razzismo gratuito e la condiscendenza dell’autore nei confronti dei suoi personaggi proletari.
Erich Von Stroheim si dimostrò fermamente deciso a girare il film proprio nei luoghi descritti dal romanzo. Questo comportò una serie di problemi poiché il terremoto del 1906 aveva distrutto molte zone di San Francisco. Inoltre, anche se il regista selezionò attori professionisti per ricoprire i vari ruoli, essi furono costretti a vivere, durante le riprese, esattamente come i loro personaggi, e furono scelti perché possedevano le stesse caratteristiche fisiche di questi ultimi.
Il ruolo di McTeague fu affidato all’attore inglese Gibson Gowland, che aveva già lavorato per Von Stroheim in Mariti ciechi, mentre l’attrice comica Zasu Pitts fu sorprendentemente selezionata per quello di Trina e il caratterista Jean Hersholt fu scelto per il ruolo dell’amico, e futuro rivale del protagonista, Marcus Schouler.
Rapacità è un film inconsueto per il regista austriaco poiché le sue pellicole precedenti e successive affrontano sempre tematiche legate alla decadenza dell’alta società nelle capitali europee del XIX secolo. Ma nel suo cinema il realismo, fatto salvo il monogramma corretto sulla biancheria intima (mai vista dagli spettatori) indossata sotto i costumi dagli attori che interpretano famiglie reali, è sempre stato predominante, a qualsiasi costo.
Per colmo dell’ironia, poiché Rapacità fu girato prima della Vedova allegra, per la quale il regista pretese di ricostruire l’antica Vienna per una cifra esorbitante, e poiché si focalizza sulle classi sociali più povere, può essere considerato una delle pellicole meno costose di Von Stroheim.
La sua dedizione nei confronti del “realismo” era praticamente totale. Infatti, si infuriò non poco quando l’attore protagonista si oppose all’utilizzo di un coltello vero che avrebbe dovuto scorticare l’orecchio di McTeague dopo essergli stato lanciato contro (sebbene da un esperto lanciatore di coltelli). Le suggestive scene nella Valle della Morte furono girate, con notevole sprezzo del pericolo, proprio sul posto ed ebbero come conseguenza il ricovero in ospedale di numerosi membri della troupe, tra i quali lo stesso Jean Hersholt vittima di un grave eritema solare (causato dall’eccessiva temperatura) che gli provocò lo scoppio delle bolle cutanee.
Le riprese furono ultimate nell’agosto del 1923. Erich Von Stroheim finì di montare le quarantadue bobine nel gennaio dell’anno seguente. Poi, mentre era impegnato nell’operare dei tagli per ridurre la pellicola a ventiquattro bobine accadde l’inaspettato: la Goldwyn Company si fuse con la Metro e Louis B. Mayer, presidente della neonata Metro-Goldwyn-Mayer, assunse Irving Thalberg (che in precedenza aveva licenziato Stroheim) come nuovo responsabile di produzione.
Mayer aveva le idee ben precise su cosa fosse meglio per gli spettatori – molto sentimentalismo e una buona dose di ottimismo e glamour – ragion per cui il “realismo” del regista austriaco – pessimista e focalizzato sugli aspetti più sordidi dell’umanità – era decisamente fuori luogo. Inoltre, la rivalità tra Von Stroheim e il produttore Thalberg, maturata durante il film Donne viennesi, peggiorò ulteriormente le cose.
Il regista austriaco aveva un amico, il regista Rex Ingram, che lo aiutò a ridurre ancora Rapacità fino a portarlo a una durata, più che ragionevole, di diciotto bobine. Ma Mayer e Thalberg decisero illegittimamente di ridurlo a dieci.
Fu così che Erich Von Stroheim entrò a far parte della mitologia cinematografica come uno dei migliori esempi di artista martoriato – e la sua entrata nel mito fu più che giustificata – .
Il metraggio mancante di Rapacità avrebbe meritato di essere salvato, e se non ci si poteva aspettare che la Metro-Goldwyn-Mayer, che assume un atteggiamento insolitamente lassista quando si tratta della responsabilità nei confronti del suo patrimonio cinematografico, facesse una cosa di questo tipo, si pensa che Von Stroheim una copia avrebbe dovuto salvarla.
Qui è possibile vedere la pellicola: