Tra sarcasmo e Sarkozy, la drammaturga Yasmina Reza spiega il suo concetto di potere
Traducción de Annamaria Martinolli
La presente intervista è stata pubblicata su Haaretz.com, il 6 luglio 2013, ed è stata realizzata dalla giornalista Maya Sela. La traduzione è di Annamaria Martinolli. Il copyright appartiene ad Haaretz.com.
Ci sono probabilmente conversazioni ironiche durante le quali gli scrittori parlano dei giornalisti. Magari li giudicano, si prendono gioco di loro e si divertono alle loro spalle. Dio mi è testimone quando dico che i giornalisti fanno tranquillamente conversazioni di questo tipo sugli intervistati. Per ogni intervista pubblicata, ci sono retroscena da raccontare, e a volte i retroscena sono luoghi alquanto emozionanti. Per gli intervistati, questi luoghi possono anche essere apparentemente motivo di conflitto e di sofferenza.
L’autrice e drammaturga francese Yasmina Reza ha scritto una pièce su questo argomento: Comment vous racontez la partie (Come raccontate la partita) in cui sulla scena si alternano una serata di lettura e l’intervista pubblica di un giornalista a uno scrittore; intervista davvero insopportabile. Nella pièce il giornalista è sicuro di sé e pungente, mentre lo scrittore sta sulla difensiva. Il mese scorso, Yasmina Reza si è recata in Israele come ospite dell’Ambasciata francese e del French Institute che hanno organizzato alcuni eventi in suo onore.
I suoi testi teatrali sono stati tradotti in trentacinque lingue e, attualmente, sono rappresentati su molti palcoscenici: da Broadway al West End, passando per Berlino e Mosca.
Nel 1997 e nel 1998, Yasmina Reza è stata insignita del Laurence Olivier Award e del Tony Award per la sua pièce, di grande successo, Art. Nel 2009, ha vinto due premi per Il Dio della carneficina, messo in scena per la prima volta a Zurigo nel 2006. Due anni dopo è stato rappresentato a Parigi, con Isabelle Huppert in uno dei ruoli principali. A Broadway ha raggiungo le 450 repliche, e il cast originale includeva James Gandolfini e Jeff Daniels (la pièce è stata rappresentata anche in Israele, al Beit Lessin Theatre, per la regia di Hillel Mittelpunkt). Il Dio della carneficina è stato adattato per il grande schermo nel 2011, dalla stessa Yasmina Reza e da Roman Polanski, con il titolo Carnage. Il film, per la regia di Polanski, aveva come interpreti Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly e ha vinto un César (l’Oscar francese) per il miglior adattamento.
La première di Comment vous racontez la partie è andata in scena lo scorso ottobre al Deutsches Theater di Berlino, e Yasmina Reza ha dichiarato che verso la fine di quest’anno ne curerà la regia parigina.
Yasmina Reza è anche scrittrice: ha pubblicato sette libri, tradotti in molte lingue. Il suo ultimo romanzo Heureux les heureux (Beati i contenti) è uscito in Francia lo scorso gennaio.
Nel 2007, dopo aver accompagnato per nove mesi Nicolas Sarkozy durante la sua prima, vittoriosa, campagna presidenziale, ha pubblicato L’alba, la sera o la notte, che in Francia ha suscitato notevole scalpore. Yasmina Reza ha avuto pieno accesso alla vita del candidato fino al giorno della sua vittoria e del suo ingresso nel Palazzo dell’Eliseo. Anziché parlare di politica, l’autrice ha scritto un libro sull’ossessione e la brama di potere di un uomo politico. Quando, all’epoca, il settimanale Le Nouvel Observateur le chiese se Sarkozy le avesse fatto delle avances in quel periodo, lei rispose: “No, il suo scopo era sedurre la Francia non me. Anche se è quasi offensivo per una donna trascorrere nove mesi accanto a un uomo senza che questo ci provi almeno un po’”.
Qui in Israele, il Gesher Theater sta rappresentando la sua pièce Tre variazioni della vita (2001) per la regia di Amir Wolf e la traduzione di Dori Parnes. In onore della sua visita in Israele, l’Habima National Theater presenta, invece, una lettura in ebraico del testo Comment vous racontez la partie, interpretata da Evgenia Dodina, Ayelet Robinson, Alon Ofir e Michael Koresh, per la regia di Ilan Ronen. La pièce è stata tradotta in ebraico da Nir Rachkovsky.
Durante una lettura di Heureux les heureux, a cura di Yasmina Reza e dell’attrice Ronit Elkabetz, nella dimora di Giaffa dell’ambasciatore francese, uno degli attori in attesa mi ha spiegato come sia praticamente impossibile che un testo sofisticato e profondo come Comment vous racontez la partie venga regolarmente rappresentato in Israele. È un vero peccato perché la pièce è brillante, molto divertente e parla degli equilibri di potere che si creano tra un artista e il suo pubblico, e tra la periferia e il centro. Forse il testo è troppo complesso per diventare un successo teatrale, ma per Yasmina Reza già la lettura tenutasi all’Habima National Theater è motivo di profondo orgoglio.
Yasmina Reza è famosa per non gradire le interviste; di conseguenza, durante molte di quelle che ha rilasciato ai media, le sono state poste domande a riguardo. Forse è vero che lei non ama essere intervistata, ma quando l’ho incontrata nell’albergo dove alloggia a Tel-Aviv, si è dimostrata disponibile e cordiale.
Questa splendida donna molto esile, che non dimostra neanche lontanamente i suoi cinquantadue anni, è figlia di un iraniano e di un’ungherese, entrambi ebrei. Come prima cosa, mi dice di essere già stata in Israele più di dieci anni fa: “Quando mio padre era ancora in vita, provavo qualcosa di speciale per Israele perché lui era molto affezionato a questo paese e il mio legame si manifestava attraverso di lui. Io di mio, però, attualmente non provo nulla”.
Il vero cognome della sua famiglia è Gedaliah. “Erano degli ebrei spagnoli. Sono arrivati in Iran dopo un lungo viaggio e appartenevano a una comunità ebreo-iraniana insediata a Samarcanda e a Tashkent, nell’attuale Uzbekistan. Alla fine del XIX secolo, hanno acquisito un patronimico locale. Reza è un po’ come Michel: un nome molto comune, e poiché lo si eredita, io mi chiamo ancora Reza.
Mio padre si trovava a Nizza durante la Seconda guerra mondiale. Fu arrestato e internato nel campo di Drancy. Il cognome Reza gli salvò la vita: dichiarò di essere un iraniano musulmano. Mia madre, invece, rimase a Budapest fino all’età di vent’anni, dopodiché emigrò in Francia».
Maya Sela (MS): Come mai detestate tanto parlare con la stampa?
Yasmina Reza (YR): Per me è un gioco interessante e allo stesso tempo pericoloso. Il gioco non è rappresentato solo dall’intervista in sé. La stessa situazione si verifica quando ad esempio c’è un pubblico, e si è in presenza di un giornalista, e bisogna leggere alcuni passi del proprio libro: è una sensazione che non mi piace affatto. Mi invitano molto spesso a eventi del genere, anche se ultimamente sempre meno perché sanno già che non mi piace. In un mondo ideale, non parlerei mai ma mi limiterei a scrivere. Non ci trovo nulla di interessante nel parlare di me stessa, benché abbia imparato che a volte sono obbligata a farlo perché fa parte del gioco. C’è molta curiosità nei confronti degli scrittori. A volte, ho anche l’impressione che parlare di uno dei miei libri, o di un mio testo teatrale, finisca per danneggiarlo. Non mi piace fornire spiegazioni.
MS: E se anziché fornire spiegazioni si trattasse semplicemente di conversare con qualcuno di arte e di scrittura?
YR: Raramente durante un’intervista si conversa con qualcuno.
MS: I giornalisti vi pongono sempre domande personali?
YR: Sì, proprio come adesso, ma tutto sommato non ve ne voglio. Se facessi la giornalista, mi comporterei allo stesso modo allo scopo di capire quali elementi influenzano lo stile di un certo autore e altre cose di questo tipo.
MS: Non sentite l’esigenza di parlare?
YR: Viviamo in un mondo in cui non parlare del proprio lavoro significa sminuirlo. Questo vale per l’arte contemporanea ma anche per qualsiasi altra cosa. Bisogna trasmettere messaggi importanti e io, sinceramente, non ne ho alcuna voglia.
MS: Ho letto da qualche parte che per voi la scrittura non è un’attività intellettuale…
YR: La scrittura è qualcosa di profondamente organico, come la pittura. Davanti a una tela, non c’è bisogno di fornire alcuna spiegazione. La pittura è fisica ed emozionale, quindi è tutto tranne che intellettuale.
È logico che un libro contenga anche aspetti intellettuali. L’autore elabora la lingua, costruisce faticosamente le frasi, evoca persone che dicono e pensano determinate cose, ma egli può anche scrivere su qualcuno che esprime pensieri profondi e poi su qualcun altro che dice esattamente il contrario. La letteratura è il luogo della massima libertà e della massima contraddizione. Un autore può affermare una cosa in cui non crede assolutamente, può giocare con idee stupide, false e confuse. È la fusione di tutto questo a suscitare interesse, ma in ciò non vi è nulla di intellettuale.
MS: Quando iniziate a scrivere, partite da un’idea o da un’immagine?
YR: Da un’immagine, mai da un’idea. In seguito, ovviamente, arrivano anche le idee. Tutto ha bisogno di un’idea, anche questa sedia. Eppure, voi non direste mai che fabbricare una sedia sia un’attività profondamente intellettuale. Tuttavia, quando la gente vi considera uno scrittore, si presuppone abbiate un’opinione anche sulla guerra e sul tempo che fa…
MS: Quando avete scritto il libro su Nicolas Sarkozy (L’alba, la sera o la notte, 2007), lo avete fatto con lo spirito della giornalista o della romanziera?
YR: Della giornalista in quanto scrivevo a caldo, ma quello che cercavo non aveva niente a che fare con il giornalismo. Il mio sguardo era quello di una romanziera, le cose che avevo in mente corrispondevano a quelle di una romanziera.
La politica non mi interessava affatto. Per me, il fattore interessante era la vita di un uomo politico. Avrei potuto scrivere su chiunque altro, ma ero molto contenta che si trattasse di uno dei principali candidati alla presidenza. La sua corsa elettorale è stata fantastica.
Il mio è un libro esistenziale poiché gli uomini politici sono persone estremamente interessanti da osservare. Loro non vivono nello stesso mondo in cui viviamo noi due. Non vedono la realtà che li circonda. Non vedono nulla, fluttuano nell’aria. Non sanno nemmeno cosa sia la vita vera.
MS: Siete riuscita a capire come fa un uomo a diventare un uomo politico?
YR: I politici appartengono alla stessa categoria degli attori. Sono molto narcisisti.
MS: E vogliono il potere…
YR: Se è il vero potere quello che volete, tanto vale diventare un uomo d’affari. I politici non hanno il vero potere, hanno gli attributi del potere. Quando vanno a teatro, hanno il posto riservato. Quando entrano in un ristorante, tutti gli fanno mille salamelecchi. Hanno l’autista e la guardia del corpo. Sono persone che ignorano il presente. In un certo senso, e sotto questo punto di vista li si può anche invidiare, non percepiscono il passare del tempo. Non si accorgono del sopraggiungere della morte. Non provano né malinconia né sentimenti simili. Non hanno tempo per cose del genere. Organizzano la loro esistenza in modo da non doversi porre problemi spirituali. E quando glielo fate notare, lo ammettono in tutta tranquillità.
MS: Forse dovremmo darci anche noi alla politica…
YR: Non è un mestiere adatto alle donne! L’ambiente è molto misogino. Una donna deve lavorare il doppio per dimostrare quanto vale, e solo dopo aver superato una certa età riesce ad imporsi.
Detto questo, ho incontrato il cancelliere Angela Merkel e ne sono rimasta piacevolmente colpita. In fotografia, non sembra tanto bella, ma quando la si incontra dal vivo, il suo volto ha un non so che di molto dolce, assomiglia alla ragazza che un tempo è sicuramente stata.
MS: In quali circostanze l’avete conosciuta?
YR: Assieme a Nicolas Sarkozy, nel 2007, ho incontrato molte persone, tra cui Barack Obama. Ho rivisto Angela Merkel alcuni anni dopo, senza Sarkozy. È accaduto a Milano, durante un concerto di Wagner. Lei mi si è avvicinata e mi ha detto: “Buongiorno Yasmina. Non è la prima volta che ci incontriamo”. E poi ha aggiunto: “La volta scorsa non volevo che tu entrassi nella stanza (assieme a Sarkozy), ma ho letto il tuo libro e mi sono ricreduta”.
MS: Secondo voi, come mai Nicolas Sarkozy vi ha autorizzato a scrivere un libro su di lui?
YR: Non me lo spiego. È un mistero. Il libro non gli è piaciuto, e durante la sua presidenza non l’ho più incontrato.
MS: Voi siete una persona iperattiva. Scrivete romanzi, siete autrice teatrale e anche regista…
YR: No, qui mi permetto di interrompervi. Io scrivo romanzi e sono autrice teatrale: questo è tutto. Quando lavoro come regista, per me si tratta di un’attività assimilabile alla scrittura. Ho diretto un film, Chicas nel 2010, ma non mi sono mai considerata una regista. Ero semplicemente una scrittrice che faceva un film. È solo un modo diverso di dire le cose.
MS: Il vostro ultimo libro, Heureux les heureux (Beati i contenti, premio letterario Le Monde 2013), si basa sul progetto per una serie televisiva.
YR: Circa un anno fa, l’ex direttore della rete televisiva americana HBO è venuto da me da Los Angeles per propormi di scrivere una serie nello stile di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman. Una proposta davvero fantastica. Io l’ho ringraziato e gli ho promesso che ci avrei pensato su. Ho rivisto il film di Bergman e mi sono detta: “Beh, non voglio fare la stessa identica cosa”, e quindi ho rifiutato. L’idea, però, ha continuato a ronzarmi in testa e ho pensato di farne un libro. Un libro non costituito da dialoghi, ma da pensieri, riflessioni e descrizioni. Ho quindi scritto Heureux les heureux sotto forma di serie televisiva. Il volume è suddiviso in venti capitoli e si svolge in due stagioni. Descrive coppie di ogni tipo a cui ne succedono di tutti i colori.
MS: All’inizio della vostra carriera facevate l’attrice. Non vi manca quell’esperienza?
YR: A volte lo faccio ancora. Adoro recitare, soprattutto ruoli minori! Nessuno, però, ha il coraggio di chiedermelo. La gente mi considera un personaggio troppo importante e teme che io possa esprimere la mia opinione sul film, il che non è affatto vero. La cosa bella della recitazione è che non si pensa a nulla, si è lì per obbedire e basta.
MS: È stato difficile per voi autorizzare Roman Polanski a trarre un film dalla vostra pièce Il dio della carneficina?
YR: Conosco Roman da tanto tempo, e avevo già lavorato con lui all’adattamento della Metamorfosi di Kafka. Dopo aver assistito a una rappresentazione della mia pièce, mi ha chiesto se ero disposta a cedergli i diritti per trarne il film Carnage. Gli ho risposto che a lui li cedevo senza problemi. In seguito, mi ha chiesto di collaborare alla sceneggiatura.
MS: Leggete mai i giudizi sulle vostre opere?
YR: No. È troppo penoso.
MS: A volte le critiche sono positive.
YR: Non basta che siano positive. Io leggo solo le critiche di cui mi viene riferita la pertinenza. È una forma di autodifesa.
MS: Siete una drammaturga di successo, pluripremiata, e sostenete di non essere abbastanza forte da riuscire ad affrontare le critiche?
YR: No, non si è mai abbastanza forti. I premi non contano, il successo non conta, non bastano a infondervi sicurezza. Si tratta solo di fortuna.