Stupore e tremori: un viaggio infernale all’interno di una ditta giapponese (I)
Translation by Annamaria Martinolli
Il presente saggio è tratto dalla rivista online Astrolabe, a cura del Centre de Recherche sur la Littérature des Voyages, settembre 2006. L’autore è David Ravet, insegnante di letteratura francese presso il Collegio Universitario Francese e l’Università Statale Lomonossov di Mosca, e presso l’Università Paris-Sorbonne (Paris IV) e l’Università Vincennes-Saint-Denis (Paris VIII). La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli. Il copyright appartiene a David Ravet, tutti i diritti riservati.
Le esperienze viatiche hanno segnato profondamente la vita di Amélie Nothomb, figlia di un diplomatico belga in carica in Giappone, in Cina, a New York ecc… Inoltre, hanno ispirato molti dei suoi romanzi, da lei definiti autobiografici, come Sabotaggio d’amore, incentrato sulla sua infanzia in Cina, Metafisica dei tubi, sulle sue sensazioni fanciullesche a Kobe, Stupore e tremori, o, il più recente, Biografia della fame, pubblicato nel 2004 e in cui l’eroina fa un bilancio delle sue esperienze di viaggio.
Stupore e tremori, uscito nel 1999 per i tipi di Albin Michel, ci presenta un’esperienza viatica diversa: la volontà di una donna europea di integrarsi nella cultura, e nelle modalità di funzionamento, di un’azienda nipponica. Il romanzo è stato adattato per il cinema da Alain Corneau. La pellicola è uscita in Francia nel marzo 2003 con Sylvie Testud, nel ruolo principale di Amélie-san, e Kaori Tsuji in quello di Fubuki Mori.
Piste di analisi transartistiche
La narratrice descrive l’esperienza dell’eroina come il fallimento clamoroso del suo tentativo di integrarsi in un’azienda giapponese. La struttura del libro segue le varie fasi della discesa sociale di Amélie durante un anno di vita professionale: passa dal ruolo di traduttrice stagista a quello di “signora Pipì” (addetta ai gabinetti). Stupore e tremori si interroga sulla visione che un’eroina belga, che parla correntemente il nipponico, ha della società giapponese interna all’impresa (in particolare il suo rapporto con la gerarchia) e della condizione della donna in quel paese (i dogmi relativi all’educazione, il legame esistente tra perfezione estrema e idea di suicidio, il modo di concepire l’amore e il matrimonio).
Il film di Corneau, eponimo del romanzo, sembra presentarsi come un’interpretazione abbastanza fedele del libro. Lo stretto rapporto tra libro e film pone il problema, più generale, della trasposizione transartistica. Come trasporre sullo schermo i procedimenti letterari e, nello specifico, i diversi livelli di comicità? L’utilizzo sistematico della voce fuori campo permetterebbe al cineasta una maggiore vicinanza alle tecniche narrative del romanzo. Ma è anche opportuno comparare i motivi ricorrenti che attraversano le due opere al fine di comprendere il rapporto che intercorre tra la struttura romanzesca e struttura filmica.
Il nostro studio sarà incentrato anche sulla struttura contrapposta interno/esterno (isolamento e obblighi umilianti di Amélie conseguenti all’azienda che si contrappongono al motivo della defenestrazione mentale dell’eroina) nonché sul contrasto tra l’immagine del Giappone moderno dell’azienda e la rappresentazione del Giappone tradizionale artistico (tensione tra il fascino dell’infanzia trascorsa in Giappone e la realtà sociale degli adulti). Le domande principali a cui cercheremo di dare una risposta sono: in che modo il film mette in scena questi contrasti? Quali sono le innovazioni che ha introdotto rispetto al libro?
Nel romanzo, il concetto di straniero è espresso attraverso l’introduzione di diverse forme e livelli di razzismo antioccidentale provato e subito dall’eroina. Il razzismo psicologico, la teoria della superiorità della razza e la presentazione del revisionismo dei periodi più cupi della storia giapponese sono argomenti molto trattati nel testo di Amélie Nothomb. Essi esplicitano, in modo violento, il rapporto tra l’eroina e i suoi superiori giapponesi. Ragion per cui, ci interrogheremo anche su come Alain Corneau ha scelto di esprimere, condannare e rappresentare queste forme di razzismo. Amélie Nothomb cita una delle scene centrali del film Furyo, del cineasta giapponese Nagisa Oshima, uscito nel 1983. La sequenza in oggetto mostra la tortura di un soldato americano, interpretato da David Bowie, da parte di un graduato giapponese. Analizzeremo, dunque, il ruolo di questo riferimento nell’ambito dell’opera letteraria e della sua mise en abyme all’interno della pellicola.
Oggetto del nostro studio sarà il rapporto tra romanzo educativo e satira del funzionamento di un’azienda giapponese; il modo in cui una straniera vede la società giapponese e le diverse forme di razzismo con cui si deve confrontare. Ogni studio tematico conterrà anche un confronto tra il libro e l’adattamento cinematografico.
Romanzo educativo e satira del funzionamento di un’azienda giapponese:
1) Motivazioni del viaggio
Il libro e il film sono racconti retrospettivi al passato e in prima persona singolare. L’incipit del libro introduce il sistema gerarchico in cui si inserisce l’eroina, sistema rafforzato, o mimato, dal parallelismo della struttura sintattica:
Il signor Haneda era il capo del signor Omochi, che era il capo del signor Saito, che era il capo della signorina Mori, che era il mio capo. E io non ero il capo di nessuno.
Questo sistema è la struttura principale che disciplina la costruzione del racconto. La fine, che possiamo anche chiamare chiusa, del libro presenta le domande di dimissioni di Amélie, allo scadere del contratto, ai suoi quattro superiori (dal meno importante al più importante all’interno dell’azienda), annuncia il ritorno di Amélie in Europa, ci informa della pubblicazione del suo primo romanzo (Igiene dell’assassino, uscito nel 1992) e ci parla della lettera di congratulazioni ricevuta da Fubuki Mori (suo ex superiore diretto).
L’incipit del film, in compenso, descrive in forma esplicita le motivazioni del viaggio di Amélie attraverso la voce fuori campo (voce della narratrice) e la voce dell’eroina, interpretata da Sylvie Testud. In questo modo viene spiegato il suo desiderio di vivere e lavorare in Giappone perché è il suo paese natale e perché vi ha trascorso un’infanzia felice:
Sono nata in Giappone. Vi ho trascorso i miei primi cinque anni di vita. Lasciare il Giappone è stato per me un dolore atroce, un autentico esilio. E questo primo esilio mi ha segnata a tal punto che, giunta alla soglia dell’età adulta, ho deciso di tornare a vivere qui e lavorare qui. Mi credevo capace di accettare qualsiasi cosa pur di reintegrarmi nel paese di cui mi ero a lungo creduta originaria. Questa è la storia del mio desiderio di diventare una vera giapponese.
(Trascrizione delle prime battute del film)
Il ritorno in Giappone viene da lei interpretato come un ritorno alle origini e non come un bisogno di evasione o la ricerca di qualcosa di esotico. La scenografia della prima sequenza ci presenta il Giappone tradizionale attraverso l’immagine di un giardino, molto famoso, di Kyoto, realizzato nel XVI secolo. Questo rapporto di causalità tra ricordi d’infanzia e motivazione, adulta, del viaggio si esprime attraverso il succedersi, o il susseguirsi, nella stessa scenografia del giardino, dell’immagine dell’eroina ancora bambina e di quella di Amélie adulta. Il procedimento utilizzato è la sostituzione delle immagini nella medesima inquadratura. In questo modo il racconto si fa più dinamico e i legami logici ne risultano rafforzati. La presentazione di Amélie bambina o adulta nel giardino di Kyoto diventa una delle scene ricorrenti del film. Scena che non compare assolutamente nel libro. Il film, fin dall’inizio più esplicativo del testo, segue l’ordine cronologico della vita di Amélie; il romanzo, invece, ci presenta in medias res i rapporti gerarchici che intercorrono all’interno dell’azienda in cui va a lavorare l’eroina. È proprio durante un confronto tra Amélie e il signor Saito che la scrittrice ritorna a parlare dell’infanzia trascorsa in Giappone:
Certo, non avevo mai avuto l’ambizione di diventare un asso del commercio internazionale, ma avevo sempre provato il desiderio di vivere in questo paese che adoro fin dai primi idilliaci ricordi della mia più tenera infanzia.
Durante una fase di crisi professionale, la narratrice spiega che il suo accettare le umiliazioni subite deriva dal fascino che il Giappone ha sempre esercitato su di lei fin dall’infanzia. Questa tensione è espressa già nelle prime battute del film: “Mi credevo capace di accettare qualsiasi cosa pur di reintegrarmi nel paese di cui mi ero a lungo creduta originaria”.
La chiusa del film ci mostra la riconciliazione tra Fubuki e Amélie, nel 1993, attraverso la loro immaginaria raffigurazione nel giardino di Kyoto, ovvero nella stessa scenografia iniziale. I due personaggi vengono rappresentati uno accanto all’altro, prima nelle loro fattezze adulte e poi in quelle infantili. Il film presenta, quindi, una struttura circolare attraverso la ripetizione-variazione di uno stesso motivo scenografico. Tale procedimento non compare nel libro.
2) Strutture del libro e del film rispetto al modo di rappresentare il Giappone
Il libro non è strutturato in capitoli. Tuttavia, è possibile suddividerlo in sette parti di cui le prime sei descrivono un’esperienza viatica infernale. La prima parte è formata dall’intervallo di pagine sette-trentacinque. Amélie si confronta con le decisioni assurde del suo superiore, il signor Saito, che continua ad assegnarle incarichi non conformi alle sue competenze. Questa parte del romanzo è incentrata sullo squilibrio tra obbedienza alla gerarchia ciecamente imposta dal signor Saito e impiego che Amélie si aspettava di svolgere. Il principale procedimento utilizzato è il comico di ripetizione. Il motivo della defenestrazione mentale dell’eroina attraverso il panorama dall’alto di Tokio inizia a ripetersi. Il movimento generale di questa prima parte è costituito dalla serie di “gaffe” e fallimenti di Amélie. Il film segue fedelmente la trama narrativa. Questa parte è costituita dai capitoli due, tre, quattro e dall’inizio del cinque del DVD. In pratica corrisponde ai primi trentuno minuti del film.
La struttura del film, a differenza di quella del romanzo, si avvale, fin dall’incipit, delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, mentre nell’opera letteraria non è presente alcun riferimento musicale. Alain Corneau ha deciso, per l’occasione, di utilizzare la versione eseguita da Pierre Hantaï. Come spiega il cineasta a Michel Zumkir, questa scelta musicale viene da lui vista come una delle principali differenze tra letteratura e cinematografia:
La musica è una delle grandi differenze tra letteratura e cinematografia. […] Nel leggere il romanzo, mi è subito balenata l’idea di Bach. Ho pensato che fosse insita nel libro. Che nel romanzo ci fosse lo stesso tipo di confidenza con la trascendenza che si trova nella musica, nonché la medesima struttura matematica presente nelle Variazioni Goldberg. Ero certo che la musica avrebbe svolto una funzione di dialogo, facendo da contrappunto alla storia, e che avrebbe richiamato alla memoria la raffinatezza interna del Giappone, o piuttosto, l’idea che ci si fa di esso.
Il cineasta introduce, così, la tensione esistente tra musica, problemi comunicativi e quelli derivanti da differenze culturali. La scelta di questa forma musicale potrebbe essere da noi interpretata anche come una trasposizione della struttura letteraria che ripete lo schema della discesa sociale di Amélie. L’altra grande differenza tra il film e il romanzo è la presenza dei dialoghi in giapponese.
La seconda parte del volume è formata dall’intervallo di pagine che va dalla fine della trentacinque alla cinquantasette e riguarda la questione del burro light. Determina l’evolversi dei rapporti tra l’eroina e Fubuki Mori, suo diretto superiore. Le due diventano nemiche dopo un burrascoso scambio di opinioni. Questa parte sembra costituire il fulcro dell’intrigo che si trasforma in un conflitto interindividuale metafora del rapporto di fascinazione e umiliazione che l’eroina instaura con il Giappone. L’idea di un “rapporto paradossale”, espressione utilizzata nel libro, sembra trovare conferma nelle dichiarazioni rilasciate da Amélie Nothomb durante un’intervista con Christiane Charette, trasmessa da Radio-Canada nel 1999:
Christiane Charrette: Parlatemi un po’ della signorina Mori, personaggio centrale, assieme all’eroina che vi rappresenta, del vostro libro.
Amélie Nothomb: La signorina Mori era il mio diretto superiore. Era una giapponese, alta e giovane, di grande bellezza. […] È stata la peggiore dei miei aguzzini durante l’anno che ho trascorso nell’azienda citata nel libro. Tuttavia, ha sempre esercitato su di me un fascino autentico. Era intelligentissima, bellissima e straordinaria. Nel libro è, a tutti gli effetti, il simbolo del Giappone, mentre gli ambigui rapporti che intercorrono tra me e questa bella giovane giapponese diventano a loro volta il simbolo dei rapporti tra me e il Giappone stesso, fatti di fascino e incomprensione.
Questa seconda parte corrisponde ai capitoli cinque e sei del film (dal trentunesimo al quarantatreesimo minuto). La terza parte, da pagina cinquantasette a novantadue (dal quarantaquattresimo al sessantasettesimo minuto) è logicamente il risultato del conflitto tra Amélie e Fubuki e narra l’esperienza dell’eroina in quanto assegnataria di due incarichi lavorativi di importanza sempre minore. La scena principale è il delirio della protagonista a causa del sovraffaticamento. Nella quarta parte, da pagina novantatre a centoquattordici, la scrittrice riflette sulla condizione della donna in Giappone (facendo anche un breve paragone con la condizione dell’uomo) e sul comportamento di Fubuki nei confronti dei celibi. Fubuki si converte, così, nel simbolo e nella vittima dei dogmi del suo paese. Questo passo del libro non compare nel film. Tuttavia, il signor Tenchi ne riassume l’aspetto principale quando spiega ad Amélie la delazione di Fubuki:
Amélie, avete idea di cosa significhi per una giapponese di ventinove anni essere ancora nubile? Per ben sette anni, si è dedicata anima e corpo al suo lavoro. Ed è proprio a causa della sua irreprensibilità che ha finito per superare l’età giusta per il matrimonio.
La quinta parte, da pagina centoquattordici a centosessantaquattro, descrive l’ultimo incarico dell’eroina assegnatole in seguito alla vendetta di Fubuki: è costretta a pulire i gabinetti del piano. Nel film, corrisponde ai minuti dal sessantottesimo all’ottantacinquesimo. Sia la scrittrice che il cineasta fanno in questo caso riferimento a una delle scene principali tra David Bowie e Ryuichi Sakamoto nel film Furyo, diretto da Nagisa Oshima nel 1983. Il parossismo del conflitto che vede scontrarsi Amélie e Fubuki viene altresì rappresentato, nella pellicola, attraverso la scena immaginaria del loro duello con la pistola nei bagni delle donne. Questa scena è un’innovazione del film rispetto al libro. La sesta parte descrive, invece, le domande di dimissioni dell’eroina allo scadere del contratto (da pagina centosessantaquattro a centottontasei, ovvero dall’ottantaseiesimo al novantottesimo minuto del film), mentre l’ultima è incentrata sul ritorno dell’eroina in Europa (dal novantottesimo al centesimo minuto del film: capitolo dodici del DVD).
La struttura del romanzo è riassunta dall’autrice attraverso l’utilizzo di un comico di sproporzione tra la mistica e smisurata ambizione infantile dell’eroina e la realtà materiale delle esperienze adulte da lei vissute successivamente all’interno dell’azienda. Questo riassunto si colloca nella quinta parte del libro:
Ricapitoliamo. Da piccola volevo diventare Dio. Molto presto compresi che era chiedere troppo e versai un po’ di acqua benedetta nel mio vino da messa: sarei stata Gesù. Presi rapidamente coscienza del mio eccesso di ambizione e accettai di “fare” la martire, una volta diventata grande.
Adulta, mi decisi a essere meno megalomane e a lavorare come interprete in un’azienda giapponese. Sfortunatamente, era troppo per me e dovetti scendere di un gradino per diventare ragioniera. Ma non c’erano stati freni alla mia folgorante caduta sociale. Mi venne dunque assegnato il posto di nullafacente. Purtroppo – avrei dovuto sospettarlo – era ancora troppo per me. Ottenni così l’incarico estremo: guardiana dei cessi.
Informazioni aggiuntive
I passi tratti dal volume Stupore e tremori, di Amélie Nothomb, sono riportati nella traduzione ufficiale eseguita da Biancamaria Bruno per la casa editrice italiana Voland. Il volume è stato, in seguito, riedito da Adelphi con il medesimo titolo. Il DVD del film Stupeur et tremblements è disponibile in lingua francese e giapponese, con sottotitoli in francese.