Eva contro Eva a teatro con Gillian Anderson
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
La presente recensione è stata pubblicata sul sito Stage Door il 28 febbraio 2019. L’autore è Christopher Hoile. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Nulla è eterno nel teatro. Qualsiasi cosa sia, è qui, divampa, brucia e poi scompare.
(Karen)
L’adattamento teatrale di Ivo van Hove della sceneggiatura scritta da Joseph L. Mankiewicz per il classico hollywodiano Eva contro Eva è magnifico. Se il film del 1950 è indubbiamente uno dei migliori, la produzione di van Hove trasmette la sensazione che una storia riguardante le vite di gente di teatro trovi il suo habitat naturale proprio nel teatro. Il regista ha messo insieme un cast ineccepibile, capitanato da Gillian Anderson che interpreta con grande maestria Margo Channing; la recitazione, la regia e l’innovativa scenografia di Jan Versweyveld trasformano la sceneggiatura di Mankiewicz in un’esperienza teatrale entusiasmante.
Chi si lamenta del fatto che un film già perfetto di suo non ha bisogno di essere adattato per il teatro, dovrebbe ricordare che lo stesso tipo di ragionamento impedirebbe di portare sul palcoscenico produzioni come Il mago di Oz. La sceneggiatura del film di Mankiewicz è così colta, arguta e ben strutturata da funzionare anche come copione teatrale. Il teatro può inoltre esaltare la teatralità derivante dal copione con l’uso di risorse tipiche del suo mezzo in un modo in cui un film non può.
Van Hove resta talmente fedele a Mankiewicz che risulta difficile accorgersi di cosa ha omesso. Come il film, la pièce si apre su una cerimonia di premiazione con il critico teatrale Addison DeWitt (Stanley Townsend) che annuncia che consegnerà il (fittizio) premio Sarah Siddons a Eve Harrington (Lily James). DeWitt dichiara che racconterà “di più su Eve…”. Tutto su Eve, in realtà, e la storia diventa una serie di flashback narrati da Karen Richards (Monica Dolan), la migliore amica di Margo Channing nonché moglie del commediografo Lloyd Richards (Rhashan Stone), che ha scritto per Margo molte pièces che ne hanno incrementato il successo.
Da Karen scopriamo come Margo accoglie Eve, che assiste a ogni suo spettacolo ma non ha un lavoro né un posto dove stare. Margo ne fa la sua segretaria personale con grande disappunto di Birdie (Sheila Reid), che lavora da anni per lei come domestica. A poco a poco, diventa chiaro che la devozione di Eve nei confronti di Margo non è così disinteressata come quest’ultima pensava all’inizio. Senza che Margo ne sia a conoscenza, Eve riesce a farsi assegnare il ruolo di attrice sostituta nella pièce di cui Margo è la protagonista. Così, quando Margo salta una recita e Eve raccoglie recensioni entusiastiche, soprattutto da DeWitt, una resa dei conti è dovuta per tutti i personaggi.
Fin dalle prime battute della produzione, van Hove inganna il pubblico definendo così il suo approccio definitivo alla storia di Mankiewicz. La scenografia di Jan Versweyveld è una compatta scatola a tre lati rosa scuro che rappresenta lo spazio privato di Margo. È il suo camerino/camera da letto/salotto. Quando DeWitt dichiara che ci dirà “tutto su Eve”, gira intorno all’estremo lato sinistro della scenografia e ci accompagna in un tour dell’intera area backstage attorno alle tre pareti della scenografia stessa; tutti i suoi movimenti e le interazioni con il cast e la troupe sono ripresi da un videografo le cui immagini sono proiettate su uno schermo gigante sopra la parete di fondo della scenografia.
Poi, quando Margo entra per la prima volta in scena, le pareti rosa si alzano fino a scomparire e si vede l’intero backstage fino alle pareti del teatro. Questo grande gesto teatrale mette in risalto le due tematiche principali che imbevono il dramma. La prima è che, per i personaggi della pièce, e soprattutto per un personaggio famoso come Margo Channing, non esiste alcuna distinzione tra pubblico e privato. Proprio come nell’allestimento di van Hove di Uno sguardo dal ponte, nel 2014, che collocava il pubblico sui tre lati dello spazio recitativo, Margo e le persone che la circondano non hanno privacy. Non hanno un luogo dove ritirarsi. Van Hove posiziona i videografi perfino in cucina e nel bagno senza finestra, mostrando che in quanto gente di teatro sono sempre impegnati a recitare, anche nel privato, e alcuni, come Margo, hanno recitato talmente a lungo da dimenticare cosa sono le vere emozioni e le vere interazioni sociali. Per quanto riguarda le persone che circondano Margo, Eve è forse quella più falsa, ma in certa misura più o meno tutti ingannano Margo.
La scenografia di Versweyveld implica anche qualcos’altro. La stanza “privata” di Margo, con le tre pareti che salgono e poi scendono nuovamente, assomiglia al grigio cubo vuoto della pièce Uno sguardo dal ponte che anche in quel caso saliva e scendeva. In entrambe le situazioni, le pareti circostanti sembrano più quelle di una prigione o una trappola. In Eva contro Eva succede di peggio: quando le pareti private si alzano rivelano un’altra serie di pareti che le circondano. Margo, che ha trascorso la sua esistenza sul palcoscenico, non sa proprio niente della vita, conosce solo il teatro. È intrappolata in un mondo di finzione e una parte dell’azione della pièce è costituita dallo scoprire se riuscirà a uscirne. Quando, poco prima della conclusione, le stesse pareti rosa calano attorno a Eve Harrington, lo spettatore non ha la sensazione che la giovane abbia raggiunto il tanto bramato successo. Anzi, le pareti sottolineano come anche lei sia caduta nella solitudine e abbia perso quel poco di libertà che credeva di avere.
Van Hove è quindi molto bravo nel portare sul palcoscenico la sceneggiatura di Mankiewicz rendendoci costantemente consapevoli, in un modo che il film non può fare, dell’artificio del teatro e di come esso sia metafora essenziale delle vite dei protagonisti della pièce. Nella produzione del regista, anche quando il cast e la troupe sono “fuori scena” e apparentemente non stanno recitando, in realtà continuano a farlo. Guardando indietro, capiamo che l’altrettanto apparentemente casuale passeggiata di DeWitt dietro le quinte era davvero una sequenza orchestrata con precisione.
Portare sul palcoscenico la sceneggiatura di Mankiewicz permette anche a un intero cast di attori contemporanei di saggiare i ruoli da lui scritti così bene. Prima fra tutti Gillian Anderson, nella parte di Margo. Non c’è traccia di quel camp che a suo tempo contribuì alla notorietà del film. La Anderson interpreta Margo come una donna dedita a tal punto alla sua arte da non permettere a nessuno di ostacolarla. Purtroppo, per citare il Buffone di Shakespeare, “la ruota del tempo porta le sue vendette”. Margo ha da poco superato i cinquant’anni (i quaranta nel film) e si accorge che i corsetti per il suo ruolo stanno diventando troppo stretti. Più seriamente, si chiede se è in grado di interpretare ancora personaggi che hanno vent’anni di meno. La Anderson fa emergere efficacemente questo pensiero, senza pronunciare una parola, ogni volta che fissa lo specchio della sua toeletta (dove è collocata una telecamera nascosta) e noi vediamo con quanta minuziosità esamina il suo volto.
Margo ha un cuore. Ha tenuto con sé la fedele cameriera Birdie (Sheila Reid), ex attrice di vaudeville, anche se da tempo non ne ha più bisogno. E prende con sé anche Eve, che si finge la fan più devota di Margo e che è rimasta indigente e senza un tetto in seguito alle circostanze della vita. Non sorprende che sia proprio Birdie la prima ad accorgersi che la totale devozione di Eve verso Margo può avere un rovescio della medaglia. Birdie nota che Eve studia ogni movimento di Margo “come una cianografia”. Quando Eve organizza una telefonata interurbana a Bill, che si trova in California, per il suo quarantaduesimo compleanno (il trentaduesimo nel film), a cui segue un party, Margo si accorge dell’eccessiva intromissione di Eve nella sua vita privata.
Gillian Anderson mostra la graduale evoluzione di Margo: se prima era fredda ora diventa glaciale. Al party, l’attrice dà un’interpretazione di prim’ordine di una donna che scivola lentamente nell’alcolismo, passando dalla leggera ubriachezza alla perfidia fino alla perdita di sensi. A rendere la sua interpretazione così straordinaria da qui in poi è che, malgrado gli insulti lanciati da Margo a tutti quelli che le stanno intorno, l’attrice riesce a farci percepire che il personaggio sta parlando in uno stato di alterazione e rimpiange le sue azioni, benché non sia in grado di placare la sua collera una volta iniziata.
La Anderson mantiene, per quasi l’intera totalità del resto della pièce, la nascosta consapevolezza di Margo di aver umiliato se stessa fino a una lunga, franca, conversazione con Karen quando sono bloccate fuori città e la Anderson ci mostra che Margo non è una megera ma possiede una personalità complessa. È una donna consapevole delle sue fragilità e desidera adattarsi ai cambiamenti del tempo. Chi è abituato a vedere l’attrice solo in TV, non sa quanto le risulti facile dominare l’intero palcoscenico.
I cambiamenti del tempo riguardano ovviamente l’ascesa di Eve, che passa dall’essere nessuno, ad assistente di Margo, a sua attrice sostituta, ad autentica star, la persona che viene premiata all’inizio dello spettacolo. Lily James è notevole nel celare le trame di Eve dietro una facciata di estatica idolatria. L’attrice riesce a rendere così convincente la lacrimevole storia di Eve che anche noi, alla pari di Margo, inizialmente non crediamo ai sospetti di Birdie. Poi, quando Margo sorprende Eve con in mano il suo costume intenta a simulare un inchino al pubblico, siamo costretti a rinunciare a ogni forma di compassione nei confronti del personaggio. La gestualità e il tono di voce rendono tuttavia la Eve di Lily James più sfacciata e questo fa sì che anche le sue manovre risultino più evidenti.
Il terzo personaggio del diabolico terzetto di protagonisti è Stanley Townsend, nel ruolo dell’influente critico teatrale Addison DeWitt. Mentre gli altri personaggi pianificano come scuotere Margo dal terribile umore che si è impadronito di lei dal giorno del party per Bill, il suo fidanzato che tutti sanno essere di otto anni più giovane, DeWitt ha progetti più sinistri che andranno a colpire sia Margo che Eve, ma quest’ultima con maggiori conseguenze. Come si è visto per l’interpretazione di Eve data da Lily James, Townsend non lascia trasparire la possibilità che la sua naturale inclinazione verso il cinismo cerchi una maggiore valvola di sfogo che non sia l’arguzia. Eppure, proprio come Lily James, con grande maestria, l’attore rivela sempre di più sulle reali intenzioni del personaggio a mano a mano che si avvicina all’obiettivo. Quando dichiara il suo scopo finale, l’effetto è agghiacciante.
I tre protagonisti sono accompagnati da un cast di attori secondari altrettanto eccellente. Julian Ovenden conferisce al personaggio di Bill Sampson un carattere meno complesso di quello di Margo, però non sventato ma preoccupato per il suo futuro. Percepiamo che non sopporta l’“ossessione per l’età” di Margo, e la chiama così perché è la sua stessa ossessione. Ovenden interpreta Bill come un uomo che in gioventù è stato molto desiderato; da adulto è diventato un personaggio un po’ losco e ne è pienamente consapevole. Si intuisce che lui e Margo non solo si amano ma, cosa più importante, hanno bisogno di qualcuno che li ami per dare un minimo di senso a due vite che a un tratto sembrano vuote.
Monica Dolan è una delizia nel ruolo di Karen Richards, la principale voce narrante. Non è una professionista del teatro, ma fa da perfetto mediatore tra il pubblico e lo spettacolo. Sa guardare con maggiore obiettività la situazione che vediamo sul palcoscenico e vi trova umorismo, ironia e pericolo. La spontaneità che riesce a esprimere ci garantisce che per quanto le cose possano andare male abbiamo comunque qualcuno che interpreta gli eventi in modo onesto. In questo, Karen è l’opposto dell’avvocato Alfieri di Uno sguardo dal ponte, che ammette di stare vertiginosamente perdendo il controllo degli eventi.
Molti penseranno che non c’è alcun bisogno di adattare per il teatro un film già perfetto come Eva contro Eva. La regia di Ivo van Hove e le scenografie di Jan Versweyveld dimostrano che solo a teatro questa storia su gente di teatro può essere narrata preservando ineluttabilmente nella nostra coscienza la natura teatrale e metateatrale della storia. La sceneggiatura di Mankiewicz è arguta, colta e perspicace; quando si acquisisce questa consapevolezza si intuisce che è stato quasi ingiusto non permettere a un’altra generazione di attori, soprattutto di alto livello come quelli radunati da van Hove, di saggiare a loro volta i personaggi e farli propri. Come molte altre produzioni del regista, la sua Eva contro Eva sradica l’opinione comune sull’opera e ci permette di vederla sotto una luce completamente nuova. È un’esperienza di grande impatto.