Scoprendo Joe Orton (I)
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Madama Vita è un bel pezzo fiorente,
La Morte va fiutando dappertutto:
Madama ha la stanza in fitto,
Morte è il brutto ceffo sulle scale.
La presente intervista è tratta da The Transatlantic Review, No 24 (Spring, 1967), pp. 93-100, Joseph F. McCrindle Foundation. L’autore è Giles Gordon. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Pochi mesi dopo la pubblicazione dell’intervista, Joe Orton fu assassinato dal suo convivente. Per approfondire la vita e le opere dell’autore, vedesi il sito inglese JoeOrton.org.
Joe Orton ha visto due sue pièces rappresentate con successo sui palcoscenici londinesi. Entrambe hanno ottenuto grandi consensi di critica e di pubblico. Prima è stata la volta di Intrattenendo il Signor Sloane e adesso è toccato a Il malloppo; quest’ultima era già stata rappresentata in versione tagliata un paio di anni fa in una programmazione nei dintorni di Londra che però non è andata oltre la zona di Golders Green, che, teatralmente parlando, è come se un testo andasse in scena ad Aberdeen. La prima pièce composta dall’autore, Il ceffo sulle scale, che prevede un unico attore, è stata recentemente rappresentata, senza scenografia e nel corso di una produzione della domenica sera, al Royal Court Theatre.
Joe Orton scrive pièces divertenti – è senz’altro l’autore che, al momento, può essere più facilmente paragonato a uno scrittore di farse che lavora per il teatro serio inglese – e possiede un suo stile; non teme l’artificiosità nei dialoghi e non è né pretenzioso né “impegnato”.
Vive nel sobborgo di Islington, in quello che si può definire un appartamentino, anche se ha una porta d’ingresso indipendente. La sua stanza ha le pareti gialle e il soffitto rosso e grigio. Le prime sono tappezzate di innumerevoli foto colorate tratte dalle riviste: Orton ha realizzato una croce cristiana ritagliando riproduzioni di icone religiose, a cui ha aggiunto un gorilla. C’è un poster del Malloppo, e uno di Seid Nett Zu Mr. Sloane! Nella stanza ci sono due letti singoli, decine di dischi, un enorme televisore, alcuni libri e un paio di scarpe sotto il letto. Tutto molto ordinato e pulito.
Quando entro in casa, Joe Orton è al telefono; sta dando a Sheila Ballantine, la protagonista del Malloppo, istruzioni su come raggiungere il suo domicilio. È un posto molto facile da trovare, ma le indicazioni che ha dato anche a me erano abbastanza complicate. Le dice che deve riattaccare perché ha un’intervista con l’International Review; lei ribatte di non averla mai sentita nominare ma dichiara che le sembra magnifico. Orton riaggancia, poi indossa una cravatta porpora affermando che non può essere intervistato senza la cravatta. Sistemo il registratore e Joe Orton si accomoda su una poltrona subito accanto.
Giles Gordon (GG): La prima domanda che vorrei porvi riguarda quella che si potrebbe definire – anzi, per l’esattezza è la critica a definirla così – la contrapposizione tra teatro d’arte e teatro commerciale. Negli ultimi mesi, i due testi teatrali più interessanti rappresentati a Londra sono stati, per quanto mi riguarda, il vostro Malloppo e Il sottoscala di Charles Dyer. In quest’ultimo caso, mi ha molto infastidito la reazione della critica che l’ha spesso definita una pièce commerciale, in senso offensivo e sdegnoso, sostenendo che un teatro sovvenzionato non avrebbe mai messo in scena un testo del genere se non per il fatto che garantisce due ruoli notevoli a due star della compagnia.
Joe Orton (JO): Per quanto ne so, Il sottoscala è stato offerto a diverse compagnie commerciali ed è sempre stato rifiutato, ma non capisco perché non avrebbe dovuto essere rappresentato nel teatro commerciale. Questa storia dei teatri commerciali e sovvenzionati per me è una buffonata. I testi possono solo essere belli o brutti. Mi è capitata la stessa cosa con Intrattenendo il Signor Sloane, la gente non faceva che dire: “Oh, è solo una pièce commerciale!”, e io mi infuriavo, perché non lo è affatto; un testo commerciale non esiste, ci sono solo testi belli o brutti.
GG: Secondo voi perché molti critici e registi, e in questo caso anche spettatori, insistono, spesso a torto, nel categorizzare i testi teatrali in questi due modi?
JO: Non ne ho idea. È puro snobismo. Quando un tuo testo viene rappresentato in un teatro sovvenzionato, il pubblico che ti ritrovi davanti è molto snob. Credo che le persone amino pensare di trovarsi in un luogo che gli fornisce allo stesso tempo intrattenimento e cultura.
GG: Era vostra intenzione scrivere un tipo specifico di testi? Le tre pièces prodotte a Londra presentano lo stesso genere di personaggi, tutti appartenenti a un determinato segmento sociale. Siete consapevole di questo?
JO: A dire il vero, la “classe” delle mie pièces si sta elevando sempre di più! Il ceffo sulle scale è iniziato come qualcosa di molto squallido e criminale; Intrattenendo il Signor Sloane è salito di un gradino, visto che i personaggi sono piccolo borghesi (di un nichilismo piccolo borghese, mi è stato detto). Il malloppo ha compiuto un ulteriore passo avanti perché la protagonista è una donna che lascia in eredità 19.000 dollari tra cui obbligazioni e gioielli. Sono sicuro che si possa – voi per esempio, perché io ancora non ne sono capace – scrivere un testo su personaggi di classe sociale molto alta e renderli interessanti quanto quelli di classe sociale bassa, perché penso che le persone siano interessanti.
Mi ha fatto molto piacere che il Times, nella sua prima recensione del Malloppo, abbia affermato che se si vuole attribuire un significato serio alla pièce – e lo si può sicuramente fare – bisogna considerarla un appello contro la suddivisione in compartimenti. In Intrattenendo il Signor Sloane il mio obiettivo era abbattere i compartimenti sessuali delle persone. La pièce non è del tutto riuscita perché è molto difficile convincere i registi e gli attori a fare quello che vuoi. Dopo numerose repliche, il testo è stato oggetto di compartimentazione; così, Madge è diventata la ninfomane, Peter il frocio e Dudley lo psicopatico. Non era quello che volevo e nemmeno quello che intendevo, ma le persone suddividono le cose in compartimenti: classe, sesso e via discorrendo, ed è molto negativo.
GG: Il che ci porta direttamente al gusto. Molti hanno dichiarato che Il malloppo è di un cattivo gusto estremo. Anche voi siete consapevole dell’esistenza del buongusto e cattivo gusto?
JO: No. Quel tipo di persone che spesso tirano fuori la storia del buongusto invariabilmente hanno cattivo gusto. Penso che gli inglesi abbiano il peggior gusto dell’intera umanità. No, non credo esistano cose come il buongusto e il cattivo gusto. Alcune cose mi offendono, ma per lo più si tratta di bizzarrie. Come ad esempio le traduzioni di Aristofane a cura di Dudley Fitts. Le trovo bruttissime. Mi disgustano, ma è un mio problema. Ovviamente molte altre persone non le considerano affatto offensive.
GG: È curioso come nel Malloppo certe persone si ritengano offese dal fatto che l’azione è per lo più incentrata su una bara.
JO: Onestamente non capisco quale sia il problema; dal lato pratico – e io spero di essere una persona pratica – una bara è solo una scatola. Uno la chiama bara e una volta che viene denominata così iniziano a fioccare le associazioni di ogni tipo. In Intrattenendo il Signor Sloane descrivo un uomo a cui piacciono i ragazzi e che ama fare sesso con loro. Volevo che fosse interpretato come un uomo assolutamente normale, e non come se nel momento di fare sesso si mettesse il profumo e gli orecchini. Questa cosa è davvero brutta; ora che l’omosessualità è permessa, mi auguro che le persone la smettano di dipingere gli omosessuali nel solito modo in cui lo si faceva in passato. Penso che il gay che si vede in Black Comedy di Peter Shaffer sia molto divertente, ma è rappresentato in modo convenzionale. Si tratta di nuovo di compartimentazione. Gli spettatori amano queste cose perché sono innocue. Ma non bisognerebbe mai arruffianarsi il pubblico.
GG: È questo il pregio del Sottoscala. Non ci si accorge che i protagonisti sono due gay, ma quello che si vede sono due persone.
JO: Due persone, esatto!
GG: Due persone che si amano. Tuttavia, quando la produzione è andata in scena a Brighton, una settimana prima della première londinese, il pubblico si è dimostrato indignato nel vedere Paul Scofield (che evidentemente è originario di Brighton) in un simile ruolo. Gli spettatori hanno visto solo il lato gay dei personaggi, e sono rimasti scioccati. Non hanno visto le persone, gli esseri umani.
JO: Sì, è strano. Su quest’argomento gli inglesi si sforzano sempre di essere molto liberali. Ho notato che anche un quotidiano campione di liberalismo, come l’Observer, utilizza la parola froci quando parla di omosessuali. Certo non utilizzerebbero mai la parola negri per riferirsi agli uomini di colore, ma anche negli articoli a contenuto serio parlano di froci. Se qualcuno avesse scritto una pièce sui nativi delle Indie occidentali, l’Observer non scriverebbe mai: “Tizio Caio interpreta il negro”. Il che è interessante.
GG: Prima che accendessimo il registratore, avete parlato di “scuole di drammaturghi”. Secondo voi esistono ancora?
JO: No, non credo. I drammaturghi, come le persone, sono molto individuali. Il fatto che in un certo periodo si scrivano cose di ogni tipo basta a classificare un autore in una “scuola”. Potete parlare dei drammaturghi dell’epoca di Elisabetta I o Giacomo I, ma si tratta di autori molto diversi tra loro. È probabile che se alcune pièces riusciranno a sopravvivere agli anni Cinquanta-Sessanta i loro autori saranno inseriti in una scuola, ma solo perché scrivevano nello stesso periodo.
GG: A me sembra che voi, forse più di ogni altro drammaturgo della nostra epoca, abbiate cercato di evitare di rientrare nella stessa categoria di appartenenza dei vostri contemporanei.
JO: Sì, credo sia vero. Forse dipende dal fatto che le persone per cui nutro ammirazione non sono di questa epoca. Ammiro Voltaire e Aristofane; di quest’ultimo leggo le traduzioni in prosa. Le preferisco perché sono letterali. Non c’è nessuno a frapporsi tra voi e il drammaturgo. Conosco la storia passata. Amo Luciano e gli autori classici, e credo che la mia scrittura sia diversa da quella degli altri proprio a causa della mia antiquata formazione classica! Che non ho mai ricevuto, ma mi sono dato da solo leggendo tutte le opere in inglese perché conosco poco il greco e ancora meno il latino.
GG: Quali autori contemporanei ammirate?
JO: Samuel Beckett, e Harold Pinter.