Frankenstein a teatro (I)
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Il presente saggio breve è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista Theatre Studies, numero 26-27 (1979-81), pp. 79-88. L’autore è Douglas William Hoehn. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Il 1823 fu l’anno in cui, sul palcoscenico inglese, andarono in scena i primi adattamenti del romanzo Frankenstein, o il moderno Prometeo di Mary Shelley. La vicenda narrata dall’autrice catturò l’immaginazione di artisti e spettatori dei primi dell’Ottocento in molti modi diversi. L’elemento intrinseco alla storia è il problema dei limiti morali legati alla ricerca umana della conoscenza. Nella prefazione al volume del 1818, Mary Shelley cita le ricerche scientifiche del Dottor Erasmus Darwin, nonno di Charles Darwin, e “alcuni trattatisti di fisiologia tedeschi”[1] come ispiratori della storia.
Il contesto
Le scienze naturali, all’epoca nelle prime fasi di sviluppo, stavano facendo progressi sulla concezione un tempo statica dell’universo, e gli artisti e filosofi sociali non restavano di sicuro impassibili di fronte alla prospettiva di poter manipolare la natura. Ad aggravare i problemi morali e sociali sollevati dalle scienze naturali ci aveva pensato la Rivoluzione industriale. I progressi in ambito tecnologico avevano facilitato la formazione di una classe operaia popolosa e gli artisti romantici si opponevano all’impersonale ordine sociale che sembrava il frutto di un’espulsione post partum della ricchezza nazionale[2]. Sia il nuovo modo di concepire l’universo fisico che il nuovo rapporto tra uomo e ambiente erano fortemente osteggiati dal profondo desiderio del movimento romantico di preservare un senso di mistero sulla vita.
Un’altra caratteristica di Frankenstein in grado di suscitare l’interesse di artisti e moralisti fu la tematica dell’uomo generatore di vita, un creatore e provveditore idealmente benevolo e responsabile.
Il motivo prometeico infonde al romanzo un’aura di soprannaturalità che ne favorisce la rappresentazione teatrale e introduce anche l’importante questione relativa alla natura del male. Frankenstein può essere interpretato come un’allegoria del rapporto tra uomo e Dio. Il romanzo solleva dunque il problema del rapporto tra una vita crudele e violenta e la negazione dell’amore da parte di un’irresponsabile figura genitoriale che si atteggia a Dio. Per la gente istruita dei primi dell’Ottocento una simile questione era molto più di un astratto punto di riflessione, poiché poteva trovare immediata corrispondenza nelle ragioni che spingevano alla riforma sociale. Oltre alle considerazioni didattiche, l’avvincente figura del mostro non amato è un altro importante elemento che ha favorito la salita sul palcoscenico di Frankenstein. La creatura del dottore, come viene descritta nel romanzo, suscita compassione in quanto essere vivente in cerca di affetto e approvazione che viene disprezzato solo per la sua bruttezza. La storia è antecedente a Notre-Dame de Paris (1831) di Victor Hugo, forse il punto più alto mai raggiunto da un simile soggetto nella letteratura romantica, ma il personaggio ha comunque i suoi predecessori sul palcoscenico inglese, come ad esempio Bremo del Mucedorus (1598) e Calibano della Tempesta (1611) di William Shakespeare. Il mostro di Frankenstein si inserisce in una tradizione di deformi emarginati, benché il personaggio sia pervaso da una peculiare sentimentalità romantica[3].
Ad attrarre il pubblico e gli artisti degli anni Venti dell’Ottocento fu anche l’atmosfera esotica, la descrizione di territori stranieri e l’appassionante vicenda. Fu proprio questa offerta di intrattenimento a rendere il romanzo perfettamente adatto alla rappresentazione sui diversi palcoscenici del teatro popolare londinese in pieno sviluppo. Una versione teatrale di Frankenstein avrebbe messo in discussione o rafforzato i valori morali degli spettatori, fatto sorgere in loro ammirazione o pietà per il mostruoso eroe byroniano e, soprattutto, gli avrebbe permesso di trascorrere una piacevole serata di meritato svago. Le caratteristiche sopraelencate del romanzo di Mary Shelley giustificano l’alto numero di adattamenti realizzati intorno al 1820, mentre i diversi interessi suscitati da ognuna di queste caratteristiche sono riscontrabili nell’ampio consenso popolare e dissenso critico ottenuto dalla prima versione teatrale: Presumption!; or, The Fate of Frankenstein di Richard Brinsley Peake.
Presumption!; or, The Fate of Frankenstein
Presumption! fu rappresentata al Lyceum Theatre sul finire dell’estate del 1823. Nell’autunno dello stesso anno, altri adattamenti di Frankenstein andarono in scena al Royalty e al Royal Coburg Theatre (l’attuale Old Vic)[4]. La produzione del Coburg è stata erroneamente identificata come Frankenstein; or The Man and the Monster, di H. M. Milner, che fu davvero rappresentata in quel teatro ma non prima dell’estate del 1826[5]. Sempre nel 1823, furono ben tre le parodie di Frankenstein a calcare i palcoscenici londinesi: Frank-in-Steam; or, The Modern Promise to Pay, rappresentata all’Adelphi e avente per protagonista un giovane studente di medicina troppo ambizioso; Frankenstitch (the Needle Prometheus), messo in scena al Surrey e riguardante un sarto che progetta di cucire insieme i pezzi di diversi cadaveri e una versione burlesque, al David-Royal Amphitheatre, con il mostro interpretato da un nano[6]. Probabilmente fu proprio la veemente accoglienza riservata all’adattamento di Richard Brinsley Peake a scatenare l’entusiasmo che portò alla realizzazione di tante versioni del testo. Presumption! non fu solo il primo adattamento in assoluto dell’opera ma fu anche rappresentato nei più rispettabili e pubblicizzati teatri minori di Londra.
L’autore del testo, Richard Brinsley Peake (1792-1847), fu un prolifico drammaturgo del teatro leggero londinese dal 1818 fino alla sua morte. In quanto drammaturgo commerciale, fu costretto a dimostrare una certa versatilità nel suo lavoro; la sua produzione comprende atti unici, farse in tre atti, commedie, un’extravaganza e numerosi melodrammi. Presumption! fu il suo primo melodramma e non solo. Infatti, rappresenta il primo manifestarsi di un interesse soggiacente nei confronti del preternaturale, che troverà ulteriore sviluppo nelle opere dell’autore degli anni Trenta dell’Ottocento. Cinque anni dopo la prima stagione di Presumption!, Peake presenterà The Bottle Imp, uno dei melodrammi gotici di maggior successo della prima metà del XIX secolo. Nel 1831, l’autore porterà in scena The Evil Eye, un melodramma dall’intreccio politico con una sottotrama preternaturale[7].
L’allestimento di Presumption! al Lyceum Theatre non fu casuale. Non era la prima volta che il teatro ospitava un testo teatrale di genere insolito. Peake e il direttore del Lyceum, Samuel James Arnold, erano rimasti notevolmente impressionati dal successo di The Vampire, di James Robinson Planche, nel 1820. La pièce aveva entusiasmato gli spettatori con una trama macabra e numerose innovazioni nel campo degli effetti speciali e della scenotecnica. L’adattamento del romanzo di Mary Shelley permise a Peake di lanciare la sua carriera, ma rappresentò anche un significativo passo avanti per i melodrammi spettacolari e spaventosi allestiti sui palcoscenici londinesi, la cui tendenza all’epoca era in piena crescita.
Differenze rispetto al romanzo
L’opera di Peake apporta alcune modifiche al romanzo originale in modo da garantire la presenza di più relazioni amorose in corso. Elizabeth, sorella adottiva di Victor Frankenstein e sua sposa, nella pièce ha una liaison con l’amico di Victor, Clerval. Frankenstein, invece, ha una relazione con Agatha DeLacey, il cui fratello Felix è innamorato di Safie, una ragazza araba. La varietà di rapporti sentimentali tra i diversi personaggi alleggerisce il finale lugubre senza tuttavia attenuare il castigo riservato a Frankenstein per la sua condotta immorale. Il protagonista e la sua amata muoiono, ma gli spettatori si consolano con la certezza che le altre coppie sopravvivono felicemente. Ognuna di queste relazioni comporta una serie di canzoni che accompagnano lo sviluppo del rapporto, come previsto dal contratto di licenza che definiva il funzionamento del Lyceum Theatre[8]. La musica delle canzoni è attribuita a tale Signor Watson, ed è probabile che Peake abbia partecipato alla stesura dei testi. Con l’introduzione di un quarto rapporto amoroso e di numerose scenette comiche, Peake crea i personaggi di Fritz, un ex contadino amante delle mucche che ora è diventato il domestico del Dottor Frankenstein, e di sua moglie, Madame Ninon, una governante dalla pelle scura incaricata di occuparsi del fratello di Frankenstein, William.
L’aspetto comico della pièce
Presumption! prevede alcuni momenti farseschi che in parte fungono da contrappunto agli aspetti spaventosi della pièce e in parte stravolgono questi ultimi. Quando la violenza della pièce sembra restare in sospeso – vedesi quando Fritz cammina nervosamente su e giù per la dimora di Frankenstein in una notte spaventosa, o quando ha uno scontro con la moglie in merito al suo ritorno in campagna – l’umorismo, benvenuto o meno, interrompe l’atmosfera di attesa. Quando lo spavento è in corso, l’umorismo assume i contorni della black comedy o dell’autoparodia deliberata. Un esempio di quest’ironia importuna si ha quando William viene rapito dal mostro sotto gli occhi di uno sconvolto Fritz. La moglie e il resto della famiglia di William lo raggiungono:
Madame Ninon L’avevo mandato da Fritz, in modo che stesse fuori dai piedi.
Fritz Sì; e così si è tolto dai piedi definitivamente[9].
Non sempre è Fritz il responsabile dell’aspetto farsesco della pièce. In un’altra scena, sempre ad alta tensione, lo zingaro Hammerpan descrive a un atterrito Victor Frankenstein il passaggio del mostro per i boschi e afferma di averlo visto con “il suo occhio”; segue una spiegazione durante la quale lo zingaro specifica che l’altro occhio una volta fu colpito da un sassolino e che da allora è rimasto “di sasso” lasciandolo mezzo cieco[10]. I giochi di parole e l’atteggiamento eccessivo di alcuni personaggi sono probabilmente dovuti più alla volontà di mettere in risalto il talento degli attori della compagnia del Lyceum che al desiderio di dimostrare il senso del ridicolo dello stesso Peake. Il macabro e il comico che contraddistinguono Presumption! possono essere interpretati anche come un tentativo di generare il più ampio entusiasmo possibile tra il pubblico, senza tenere conto dei canoni previsti dalla critica relativi alla purezza di genere.
Descrizione di alcuni passaggi di Presumption!
L’adattamento di Peake non fa parlare il mostro. In Presumption! la creatura esprime stupore o rabbia attraverso la pantomima e, a un certo punto, suscita la commozione degli spettatori cercando di afferrare invisibili note musicali a mani nude. In un’altra scena, invece, sconvolge il pubblico con un’espressione facciale di macabra trepidazione mentre rapisce il piccolo William. Oltre a ricorrere alla fisicità del mostro, la pièce si avvale anche di scenografie praticabili, effetti speciali visivi e azioni sceniche. Anche se il laboratorio del Dottor Frankenstein non è visibile agli spettatori, la creatura fa il suo ingresso a sorpresa da una porta collocata in una galleria sopra il palcoscenico:
La porta del laboratorio va in pezzi con un forte frastuono – fiamme rosse all’interno –. Il mostro compare sulla soglia, avvolto dal fumo che poi si dissolve – le fiamme sono sempre visibili –. Il mostro avanza, si fa strada lungo la balaustrata o la ringhiera della galleria subito di fronte alla porta del laboratorio, salta sul tavolo nel mezzo e poi balza sul palcoscenico[11].
Le ultime scene rappresentano l’incendio del cottage dei DeLacey da parte del mostro, l’audace fuga dei suoi occupanti e lo scontro cruciale tra Frankenstein e la creatura sul versante di una montagna innevata. Quest’ultimo confronto si conclude con una valanga che seppellisce entrambi[12]. Malgrado ciò, l’adattamento di Peake non prevede omicidi sul palcoscenico. Il mostro strangola William nei boschi e spara ad Agatha con una pistola rubata, ma gli spettatori vengono a saperlo dal racconto di altri personaggi. La principale ragione di una simile scelta è probabilmente il rispetto di Peake per i gusti variegati del pubblico borghese e aristocratico della English Opera House. Al contrario, l’adattamento di H. M. Milner, destinato alla classe operaia che frequentava il Royal Coburg Theatre, mostra in modo esplicito numerosi omicidi. Il testo di Peake, rispetto a quello di Milner, dimostra, da parte dell’autore, una maggiore capacità di preservare quell’atmosfera di mistero che si respira nel romanzo di Mary Shelley. In esso, infatti, Frankenstein, nel suo ruolo di io narrante, è testimone delle conseguenze di ogni delitto.
L’entrata in scena del mostro, nella produzione del 1823, ha certamente un che di bizzarro, anche se assomiglia più a un evento etereo che spaventoso. Proprio come lo “sventurato” descritto dal Dottor Frankenstein nel romanzo, la creatura teatrale porta lunghi capelli neri. La sua pelle è color azzurro chiaro, forse per suscitare maggiore impressione rispetto al colorito itterico descritto nel libro. Gli abiti che indossa sono una tunica di cotone aderente e una lunga veste o toga che egli si toglie durante la rappresentazione. Questo abbigliamento ridotto all’essenziale, permette al mostro di muoversi con maggiore agilità sul palcoscenico e mette in risalto il fisico dell’attore che lo impersona. […]
Note
Note: [1] Mary Shelley, Frankenstein, or The Modern Prometheus (New York: Airmont Publishing Co., 1963). [2] La preoccupazione manifestata dagli scrittori romantici nei confronti della spaventosa realtà sociale è identica a quella provata dai naturalisti che sarebbero venuti dopo. Il legame tra l’immaginario romantico e i problemi dell’epoca è analizzato in M. H. Abrams, “English Romanticism: The Spirit of the Age,” in Romanticism: Points of View, ed. Robert F. Gleckner and Gerald E. Enscoe (Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall, Inc., 1970), pp. 314-30. [3] Il personaggio del mostro incarna sostanzialmente il senso di alienazione sociale provato dagli artisti romantici e dai personaggi della narrativa romantica. Morse Peckham offre alcuni spunti sull’indole romantica e le caratteristiche che assume negli “antiruoli” della narrativa degli inizi del XIX secolo in “The Dilemma of a Century: The Four Stages of Romanticism,” in The Triumph of Romanticism: Collected Essays by Morse Peckham (Columbia, S.C.: Univ. of South Carolina Press, 1970), pp. 40-42. [4] Elizabeth Nitchie, “The Stage History of Frankenstein,” South Atlantic Quarterly 41 (1942), p. 386. [5] Pubblicato per la prima volta a Londra da J. Duncombe; disponibile in microcopia presso The Ohio State University Theatre Research Institute, McDowell Film Archives: F. 378. [6] Donald F. Glut, The Frankenstein Legend (Metuchen, N.J.: The Scarecrow Press, Inc., 1973), p. 34. [7] L’autore presenta uno studio più approfondito dell’opera di Peake in “The Life and Plays of Richard Brinsley Peake (1792-1847)” (Thes. The Ohio State University, 1979). [8] Prima del Theatres Regulation Act del 1843, i teatri minori londinesi erano autorizzati a produrre drammi tradizionali solo a patto che le rappresentazioni includessero canzoni e accompagnamento musicale. Per una descrizione di questa forma di “burletta” vedesi Ernest Bradlee Watson, Sheridan to Robertson: A Study of the Nineteenth Century London Stage (Cambridge: Harvard Univ. Press, 1926), p. 40. [9] Richard Brinsley Peake, Frankenstein (Acting edition of Presumption!) London: Dick’s Standard Plays #431. McDowell Film Archives, P. 1470, 14. [10] McDowell P. 1470, 11. [11] McDowell P. 1470, 7. [12] In una versione aggiornata di Presumption!, datata 1826, il finale è diverso: Frankenstein e la sua creatura muoiono durante l’affondamento di una nave. Nitchie, p. 390.