Eugène Scribe: ascesa e caduta di un celebre commediografo
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Il presente saggio è stato pubblicato il 6 luglio 1868 sul quotidiano Le Temps, e poi ripreso nella raccolta Quarante ans de théâtre, feuilletons dramatiques, pubblicata nel 1900. L’autore è Francisque Sarcey (1827-1899). La traduzione è di Annamaria Martinolli.
Il teatro della Comédie-Française ha appena ripreso, dopo una lunga interruzione, le repliche di La catena, una delle migliori commedie di Eugène Scribe. La pièce è stata un successo, e l’intero pubblico è sembrato apprezzarla molto.
Le critiche
Nell’ultimo periodo, nella mente di molte persone, si sta sviluppando, nei confronti di Scribe, una reazione il cui evolversi suscita in me una certa curiosità. Il fortunato autore del Matrimonio di convenienza e del Cameratismo non era mai riuscito, nell’arco della sua vita, a farsi accettare dai letterati, che mettevano in conto i suoi numerosi e incontestabili successi all’idiozia, ormai assodata, della borghesia. Théophile Gautier concluse la cronaca teatrale da lui redatta nel 1841, riguardante la prima rappresentazione di La catena, con queste righe, cariche di cattiveria: “Quanto a me, dopo quattro o cinque anni di critica teatrale, e dopo aver visto e analizzato tre o quattrocento pièces di ogni tipo, mi sono fatto l’idea, confermata dal successo di Scribe, che il teatro, come viene interpretato ai giorni nostri, non ha nulla di letterario; e che il pensiero in esso conta ben poco… Riconosco volentieri che, essendo l’arte drammatica un mero esercizio di destrezza, l’autore di La catena è l’uomo più sveglio della nostra epoca; ma per quanto mi riguarda, confesso anche che un’opera senza capo né coda, né tantomeno stile, avrà sempre per me un interesse quasi pari a zero”.
Questo era il motivo conduttore di tutti gli articoli riguardanti il teatro di Scribe. Il pubblico, inizialmente, non li tenne in gran conto poiché frequentava i posti in cui si divertiva e non si preoccupava poi tanto delle recriminazioni. Si potrebbe dire che era come la portinaia di Henri Monnier che diceva sempre: “È tutta letteratura”. Tuttavia, vale la pena rimarcare una cosa: la cronaca teatrale, che non suscita alcuna reazione immediata e decisiva, si rivela molto potente sulla lunga distanza. La sua forza è insita nella ripetizione costante delle medesime idee. Non fa altro che piantare un chiodo battendoci costantemente sopra con piccoli colpetti. La folla finì così per convincersi che in effetti Scribe non era degno di attirare l’attenzione di un pubblico dall’animo sensibile; senza contare la stanchezza e la noia causate dai prodigiosi successi. In parole povere, il giorno della sua morte la sua fama era in ribasso e le sue opere avevano subito una spaventosa svalutazione; cosa che non gli avrebbe giovato se fosse rimasto ancora in vita poiché l’ora della capitolazione era ormai suonata.
Per quanto mi riguarda, mi è bastato vedere ciò che avvenne nell’ultimo periodo della sua esistenza, negli anni 1860-1861: ci fu un’alzata di scudi generale contro il favorito di un tempo. Qualsiasi opera scritta di suo pugno suscitava una sorta di istintiva diffidenza; divertirsi a una sua pièce era come fare torto all’intelligenza umana. Circolavano molte frasi fatte, frasi terribili, con le quali i parigini stringevano il collo di un uomo fino a strangolarlo: Scribe è un prestigiatore! – Scribe, il patrono dei portinai! – Alexandre Dumas figlio ne trovò un’altra, che fece molta fortuna: Scribe, lo Shakespeare delle ombre cinesi!
Lo Shakespeare delle ombre cinesi! Una frase che colpisce subito. Sembra che sotto ci sia un pensiero profondo. Certo, ma quando si scava, ah, diamine! Non bisogna mai scavare a fondo in frasi di questo tipo! Qual è stato il primo merito di Shakespeare? L’aver messo in scena dei personaggi che vivono una vita intensa, che possiedono una fisionomia specifica, dei tratti caratteristici, e che manifestano e provano una passione: Otello, il geloso; Macbeth, l’ambizioso ecc… La specificità delle ombre cinesi, invece, è di essere appunto ombre; figurine prive di spessore e di veridicità; quindi affermare che un uomo è lo Shakespeare delle ombre cinesi significa dichiarare che è uno Shakespeare non Shakespeare, uno Shakespeare senza esserlo; asserzione che, in fondo, non vuol dire niente.
Questo partito preso nei confronti di Scribe, da parte di Alexandre Dumas figlio, è tuttavia molto divertente. L’autore del dramma Il semi-mondo (1855) riprende e riassume, con uno stile vivace e pittoresco, tutte le critiche che sono state indirizzate al suo illustre confratello. Provate a leggere nell’Art dramatique di Théophile Gautier (volume quarto, pag. 236) quanto si dice a proposito di Scribe e della prima rappresentazione di Oscar; in seguito, prendete la prefazione che Alexandre Dumas figlio ha inserito in apertura del Padre prodigo (1859). I rimproveri e le lamentele sono i medesimi: Scribe è borghese, non possiede né il senso della forma né il senso dello stile; è privo di entusiasmo e di passione; la sua professione di drammaturgo è giustificata dal denaro e la sua filosofia consiste nel dimostrare che è meglio sposare un portafoglio che la donna amata, e che gli intrighi amorosi sono soggetti a numerosi inconvenienti, come corizze, cadute, salti mortali, sorprese e duelli.
Questi punti di vista economici, espressi in prosa varia, non furono accolti bene dalla gente, non fosse altro che per la loro banalità. Il borghese che assiste a una pièce di Scribe dice tra sé (e lo dice a ragione) che con la forza dell’abitudine e un alto numero di collaboratori riuscirebbe a fare egli stesso altrettanto, poiché tutto il merito di questo faiseur (vedere Nota 1) consiste nella sua abilità pratica, simile a quella dell’uomo che ha giocato spesso a domino. Dumas stesso ha dichiarato: Scribe ha solo esperienza.
Ora, che Théophile Gautier parli in siffatta maniera, passi! Tutti sanno che Gautier, come Paul de Saint-Victor, disprezza il teatro e lo guarda come una forma d’arte nettamente inferiore alle altre. Non sorprende, quindi, che sottostimi coloro che esercitano tale professione, e che non distingua facilmente i settori in cui eccellono. Ma Alexandre Dumas figlio! Proprio lui, così esperto di arte drammatica e che ne scrive con tanta pertinenza, prendere una simile cantonata! L’unica giustificazione a un simile atteggiamento va ricercata in una riflessione di La Rochefoucauld: niente è paragonabile all’interesse personale quando si tratta di cavare gentilmente un occhio a qualcuno.
Si fa presto a dire che Scribe ha solo esperienza, ma bisognerebbe venirsi incontro sul significato del termine, che non è poi così netto e preciso come si potrebbe credere di primo acchito.
Le diverse forme teatrali
Nella vita di ognuno di noi ci sono tre forze dominanti: il carattere, le passioni e gli avvenimenti. Lo stesso vale per il teatro. Una certa situazione può avere tre sviluppi diversi: può focalizzarsi sugli uomini che la sfruttano o la subiscono (nel qual caso si parlerà di commedie di carattere); può concentrarsi sulle passioni che infiammano i cuori come fulmini a ciel sereno, e che li spingono, per quanto brevi esse siano, a prendere decisioni estreme (quasi tutti i drammi nascono da questo modo di concepire l’arte); oppure può ricercare, al di fuori del grande movente delle azioni umane, dei caratteri e delle passioni, l’influenza esercitata dagli avvenimenti scaturiti da essa e destinati a complicarla (in questo caso si parla di vaudeville).
Non serve dire che queste tre forme teatrali, nella realtà delle cose, non sono così radicalmente separate l’una dall’altra come risulta dall’analisi di cui sopra. L’Alceste di Molière non è semplicemente un misantropo; è un uomo innamorato che perde la sua causa. L’Ermione di Racine non è solo una donna innamorata; è una donna orgogliosa, irascibile, nervosa e, come avrebbero detto i latini, sui impotens (incapace di controllarsi).
È sufficiente che, in una commedia, uno di questi tre caratteri abbia la meglio sugli altri due per capire in quale genere classificarla. Delle tre forme sopra esposte, Scribe ha scelto la terza. Ammetto che non si tratta del genere più nobile, e che vi è un maggiore merito nell’osservare gli uomini, e nel creare dei personaggi, come hanno fatto Shakespeare e Molière, o nel rappresentare le varie fasi di una passione, come hanno fatto Corneille, Racine e Marivaux, o nel seguire le evoluzioni di un sentimento e realizzarne una sorta di monografia viva e pulsante.
Tuttavia, questa forma, benché sia l’ultima della lista e non richieda da colui che ne fa ricorso una certa genialità, non è per questo meno legittima: essa necessita, per essere rappresentata, di attitudini molto specifiche, e se riesce a raggiungere un suo livello di perfezione, il risultato è un capolavoro degno della massima stima.
È logico che qualunque situazione, qualsiasi essa sia, viene modificata e complicata da tutta una serie di eventi; alcuni di essi la determinano, altri, invece, scaturiscono proprio da essa, altri ancora la ostacolano e la fanno deviare dal suo giusto corso. È altresì ovvio che, nella vita di tutti i giorni, questi eventi possono nascere da una serie di caratteri o passioni ai quali sono collegati. Ma l’arte vive solo di astrazione, ed è quindi suo dovere considerare questi accadimenti per quello che sono, esaminarli, misurarne il raggio d’azione, presentarli singolarmente e, per così dire, ritrarli nudi e crudi sulla scena.
Si tratta, anche in questo caso, di un’opera di modesto livello, di secondo o anche di terz’ordine, ma che tuttavia possiede una sua specificità, e quindi richiede un talento particolare, e che, di per se stessa, può essere straordinaria, perfetta, e che non può essere concepita, come afferma Dumas, solo grazie all’esperienza.
Alexandre Dumas figlio vede nel drammaturgo solo un uomo che mette in gioco una serie di caratteri e di passioni, e sottolinea, giustamente, che non si diventa tali grazie a un semplice sforzo di volontà o grazie al semplice impegno. Drammaturgo si nasce: o lo si è subito o mai più. È stato un capriccio della natura a farvi gli occhi di una certa forma affinché possiate vedere il mondo in un certo modo, un modo che non è assolutamente reale, e che tuttavia deve sembrare, temporaneamente, il solo e l’unico a coloro ai quali volete far vedere ciò che vedete voi.
È una scienza innata di ottica e di prospettiva, che permette di rappresentare un carattere, un personaggio, una passione, un’azione mentale, con un solo tratto di penna. Un uomo che non vale nulla come pensatore, moralista, filosofo o scrittore, può essere un uomo di prim’ordine in ambito drammaturgico, cioè può essere bravissimo nel mettere in scena i movimenti esterni dell’animo umano.
Niente di più giusto, ma io direi a mia volta che se saper gestire i caratteri che ruotano attorno a una situazione è una capacità innata, è innata anche quella di gestire i movimenti che ruotano attorno agli accadimenti. La prima non richiede più talento della seconda. In entrambi i casi si tratta di un dono, di una qualità congenita che si perfeziona attraverso lo studio e l’esperienza, ma che non si può acquisire mai se il cielo non ce ne ha trasmesso il segreto influsso.
La catena di Scribe
Prendiamo La catena. La storia la conoscono tutti. Un giovane ha per amante una gran dama maritata: si stufa della relazione e sogna di sposare la giovane che ama. Ma i sentimenti che lo legano alla gran dama sono numerosi: riconoscenza, giuramento, vecchi ricordi d’amore ecc… È ovvio che, per essere un dramma completo, ogni personaggio dovrebbe avere un proprio carattere, le passioni che li agitano dovrebbero essere studiate a fondo, e bisognerebbe tenere conto dell’impulso degli eventi che, riunendo in sé i tre elementi, li condurrebbe verso un obiettivo specifico. Ma quest’opera deve essere ancora scritta, e forse non lo sarà mai.
Scribe, spinto dalla genialità che gli è propria, ha lasciato da parte i caratteri: i suoi personaggi sono solo le pedine di una partita a scacchi; un marito, una moglie, un amante, la giovane che tale amante vuole sposare e il padre della giovane. Delle passioni che li animano, l’autore si occuperà quanto basta per spiegare il soggetto. Risulta evidente che alcune scene d’amore e di rimprovero sono dettate dalla situazione stessa; non si può farne a meno; Scribe, dunque, le affronterà, ma senza soffermarcisi a lungo.
L’unico dettaglio che lo preoccupa, è far ruotare attorno alla situazione tutta una serie di avvenimenti che la commentano e la specificano. Timori di incontri improvvisi, lettere intercettate, duelli, una donna che si nasconde e il padre della giovane futura sposa che diventa, suo malgrado, complice dell’adulterio per non turbare, con una rivelazione inaspettata, il riposo dello sposo, amico suo: insomma tutti gli inconvenienti, che normalmente si trascina dietro una relazione illegittima, si riuniscono in uno stesso spettacolo e vengono messi in risalto in un’opera di due ore e mezza.
Probabilmente, molti di voi, conoscono già bene La catena. Vedete dunque come ogni singolo fatto si sviluppa da un’unica situazione, facendovi ritorno alla fine. Con quanta ammirevole logica l’autore organizza questi eventi per mettere in risalto la noia derivante da una passione adulterina!
Tale logica, che Alexandre Dumas figlio immagina esista solo quando si ritraggono accuratamente caratteri e passioni, regna sovrana in questa pièce.
È lei a spingere il marito a casa dell’amante della moglie proprio nell’istante in cui potrebbe incontrarvi la coniuge; è lei ad obbligare sempre il marito a proporsi come mediatore in una discussione in cui pensa di non c’entrare nulla; è lei a spingerlo ad accomodarsi nelle vicinanze dello studio dove l’amante ha nascosto la fedifraga; è lei a evidenziare, una a una, tutte le sfaccettature della situazione e ad allentare l’attenzione del pubblico solo dopo che la serie di accadimenti si è esaurita.
La genialità, in questo caso, si applica a degli elementi di poco conto, ma è pur sempre genialità drammaturgica e talento. Non potendo essere genialità dello stesso tipo, è quantomeno della stessa natura. Alexandre Dumas figlio pensa che l’esperienza non dia mai origine a un’incredibile fecondità di risorse nella collocazione delle scene, o a una prodigiosa destrezza nell’ordire in due o tre scene il più complicato degli intrighi, per poi riuscire a tirarsene fuori con una sola battuta con incomparabile disinvoltura.
L’abilità compositiva di Scribe
Se fosse solo questione di apprendere un procedimento, tutti coloro che si impegnassero a studiarlo non tarderebbero a metterlo in pratica. Prendiamo ad esempio la pittura: quale artista non riesce a dipingere un paesaggio in lontananza? O un colonnato che sembra uscire dal quadro? Per farlo, bastano un po’ di cultura e molto esercizio pratico. Ma nel caso di Scribe vi è anche l’inventiva, ovvero la genialità.
In un certo qual modo, egli è stato un ideatore. Ha preso una forma d’arte, ancora acerba, e l’ha condotta alla sua massima perfezione. Beaumarchais fu il primo, ne Le nozze di Figaro, ad attribuire un’importanza di questo tipo alla scelta degli avvenimenti, e a maneggiarli con tale disinvoltura da dar loro un ritmo e una voce.
Ma Scribe, che per altri aspetti di certo più essenziali è inferiore a Beaumarchais, sotto questo punto di vista vince di misura sul padre de Il barbiere di Siviglia. Se proviamo ad esaminare Le nozze di Figaro, infatti, scopriamo che non è all’altezza delle pièces di Scribe. Sulla maggior parte delle scene si possono sollevare un’infinità di obiezioni: Figaro spedisce biglietti completamente inutili ai fini dell’intrigo; si lascia continuamente prendere in flagrante come uno sciocco e per cinque atti di fila si dibatte all’interno di un intreccio che funziona benissimo senza di lui, e che spesso gli rema anche contro.
Scribe non avrebbe mai commesso errori del genere! L’azione di La catena è un capolavoro di logica e di destrezza dall’inizio alla fine. E con quanta attenzione il pubblico ascolta le battute! All’entrata di questo o quel personaggio si eleva come una sorta di fremito universale. Questo perché il personaggio è in situazione, perché attraverso l’artificio della composizione tutto l’intrigo converge, in quell’istante, su di lui, e il pubblico non sa come farà ad uscire dal guaio in cui è andato a cacciarsi. Bisogna avere fiducia nell’autore: egli di certo troverà qualche nuovo stratagemma, rapido e spiritoso, e così la pièce si evolverà grazie a una singola battuta, singola ma logica: la battuta giusta al momento giusto.
Non è con l’esperienza che si concepiscono questo tipo di battute, ma con la genialità. Scribe ha indubbiamente diffuso numerosi procedimenti di attuazione, ma il modo corretto di servirsene non l’ha detto a nessuno. Ed è questo modo a costituire l’originalità che gli è propria. La catena è, all’interno di un genere teatrale secondario, un’opera di prim’ordine, e non vi è dubbio che lo sarà ancora a lungo.
La pièce ha superato i venticinque anni di età eppure non li dimostra, poiché nulla è cambiato. Potreste forse dire lo stesso dei drammi di Alexandre Dumas padre, autore che io stimo più di chiunque altro? Perché quei testi sono così terribilmente invecchiati, mentre le commedie di Scribe hanno preservato la loro giovinezza? Perché La catena riesce ancora a far divertire il pubblico e i letterati che non manifestano alcun partito preso nei confronti della faccenda? Com’è possibile che, ancora oggi, questo testo goda di una sorta di riscoperta, e di un notevole successo?
Alexandre Dumas figlio paragona il teatro di Scribe a due o tre proverbi di De Musset e dichiara di preferire questi ultimi alle pièces del primo. Non mi piace che si mettano a confronto delle quantità così incommensurabili: si tratta di semplici battute di spirito. Ma comunque, visto che il confronto è stato fatto, sono disposto ad affermare che La catena è un’opera eccellente nel suo genere, come Il capriccio (1837) (vedere Nota 2) lo è nel suo, e se per scrivere delle tirate come Non bisogna mai giurare (1836) è necessario almeno un briciolo di genialità, ce ne vuole altrettanto per immaginare e calibrare gli incontri inaspettati che caratterizzano La catena e Il cameratismo.
Conclusioni
Non bisogna parlar male di Scribe, che fu un inventore, e che rimane un maestro. Dichiarare che non aveva stile non basta a giudicarlo. Scriveva meglio di molti altri che, invece, quello stile sono convinti di averlo; e questo perché la sua era una scrittura spontanea, non contaminata dall’idea di voler scrivere a tutti i costi. I suoi dialoghi derivano da conversazioni quotidiane; la costruzione è semplice, questo lo ammetto, e il gusto un po’ insipido ma, se non altro, si tratta di frasi senza pretese; e io preferisco molto di più la mancanza di stile al manierismo di uno stile falso.
Invito tutti i miei lettori ad assistere a La catena e a divertirsi di gusto, senza vergognarsene. Schernite pure coloro che vi daranno dei borghesi o che vi accuseranno di avere una mentalità terra terra, perché le possibilità sono due: o queste persone non conoscono il teatro di Scribe o si tratta di gente accecata dai pregiudizi. Sarebbe opportuno che queste persone sapessero che, per costruire una pièce come le grandi commedie di Scribe, sono necessarie una creatività drammaturgica e una genialità dieci volte superiori a quelle richieste per scrivere le lunghe tirate che tutti, abitualmente, ammirano.
La catena viene spesso rappresentata al Teatro della Comédie-Française, ma questo è tutto. Della distribuzione originale, ormai, è rimasto solo François-Joseph Regnier (1807-1885), che ha mantenuto il ruolo di Hector Ballandard. La sua interpretazione è senza dubbio eccellente, sotto tutti i punti di vista, e dimostra una sagacia e un’allegria davvero deliziose. Il personaggio di Hector, assieme a quello di Destournelles in Mademoiselle de la Seiglière di Jules Sandeau, e quello del medico ne Il cameratismo, sempre di Scribe, è tra i migliori che Regnier abbia mai incarnato.
Prosper Bressant (1815-1886) interpreta con molto stile il personaggio del conte di Saint-Géran, che viene continuamente ingannato, senza mai cadere nel ridicolo. Madeleine Brohan (1833-1900) ha invece ereditato il ruolo di Louise, lasciato vacante dal ritiro dalle scene dell’attrice Jeanne Arnould-Plessy (1819-1897). Ahimè! Il ricordo della sua predecessora ci ha un po’ guastato il piacere che avremmo provato nel vedere la sua sostituta. Ricordate com’era bella e quanto stile aveva la Arnould-Plessy? Per non parlare della sua grazia altera, dei suoi slanci di umiliata tenerezza, della sua ardente passione e della toccante e orgogliosa rassegnazione che esprimeva! Con quanta maestria riempiva la scena, e concentrava su di lei l’intero dramma.
Informazioni aggiuntive
Note: [1] Termine utilizzato per indicare una persona dotata di spirito pratico. L’opposto di diseur, che invece indica una persona abile nel parlare o nel recitare. [2] Sia Il capriccio che Non bisogna mai giurare sono pièces di Alfred De Musset.